Sebastiano Lo Monaco, attore nato a Floridia, nelle vicinanze di Siracusa, ripercorre, con leggerezza di toni ed intensità di contenuti, la propria vita d’uomo e di interprete, porgendo anche una insolita e viscerale lezione di teatro.
Afferma l’attore che, nel teatro greco, il teatro dei primordi, la rappresentazione è pervasa da un misticismo quasi religioso: in principio è il Verbo, il Logos, il pensiero dell’autore che si impadronisce del corpo dell’attore, si fa carne e si dona in pasto al pubblico.
L’attore sul palcoscenico si spoglia della propria personalità e diventa personaggio, quel personaggio che per Pirandello è il solo davvero vero e reale, a differenza dell’essere umano che è finto, perchè finta è la vita dentro la quale è costretto a vivere.
Noi moderni, sostiene Lo Monaco, allineandosi al pensiero di Pirandello, non abbiamo inventato nulla e niente possiamo ancora inventare, perchè nella tragedia greca vi è già tutto l’umano, filosofia, etica, poetica, politica, che continuiamo a rappresentare e rimasticare attraverso i nostri testi.
Oggi l’attore non nasconde che, in seguito ad una crisi esistenziale, da lui definita mal di vivere (crisi simile a quella vissuta da Pirandello, che voleva smettere di scrivere) voleva cessare di recitare, ma soprattutto rivela di essersi reso conto che la sua vita stessa è pirandelliana; non è stato lui a scegliere i personaggi da interpretare, ma loro, le vere realtà, lo hanno scelto e si sono impadroniti di lui.
Perciò egli ha impostato il racconto del proprio vissuto interfacciandosi con Pirandello, mentre ci offre alcune delle sue migliori interpretazioni, tra le quali spicca il magnetico pseudosoliloquio di Scampia e delle sue tre corde d’orologio de “Il berretto a sonagli”.
Ovviamente non potevano mancare splendidi brani tratti dai grandi tragici greci, Eschilo, Sofocle, Euripide, nonchè la suggestione della poetica dantesca nelle vicende dolorose degli amanti ed amati Paolo e Francesca.
Durante lo spettacolo Lo Monaco colloquia a tratti con il riservato pubblico genovese, sollecitandolo a reagire, a parlare, a proporre, ad esserci…e non solo nel lungo applauso finale, anche scendendo in platea e fondendo la stessa in un solo corpo col palcoscenico: il teatro è vita, non va relegato solo allo spazio scenico.
Imperdibile il racconto della giovinezza dell’attore, i ritratti affettuosi dei parenti, dei suoi rapporti tra il marchio insopprimibile della sicilianità, il suo vigoroso accento, e la prima “lingua straniera” imparata… l’italiano!
Uno spettacolo tutto vero, da vedere subito, anche e soprattutto perchè l’autore promette di offrirne una seconda puntata.
Io e Pirandello resta al Teatro della Corte fino a domenica 2 dicembre.
Elisa Prato