E’ in corso al parco dell’Acquasola, fino al 14 giugno e sempre alle ore 21, “La congiura del Fiesco” di Schiller, che sta riscuotendo un notevole successo nel pubblico genovese.
Il dramma fu scritto nel 1783 da un giovane Friedrich Schiller ( 1759-1805 ), che viene considerato l’iniziatore della nuova drammaturgia tedesca.
Infatti già ne “I masnadieri” del 1780 compaiono personaggi simboli di vizi e temperamenti costruiti da una mente giovanile ed esuberante, dove si intravedono i tratti salienti del drammaturgo a forti tinte, inserito in quello “Sturm und Drang” fiorito nella cultura germanica e primo stadio del “Romanticismo” che si svilupperà nell’Ottocento.
“La congiura del Fiesco” è un’opera poco nota a Genova e spetta al Teatro Nazionale il merito di averla finalmente rappresentata, realizzando un desiderio dello stesso Ivo Chiesa, lo scorso anno in piazza San Lorenzo, quest’anno nella nuova location dell’Acquasola: un’idea particolarmente felice in quanto non solo conferma la volontà di riportare il teatro all’aperto ma rivaluta anche un’area particolarmente cara ai genovesi, un parco centrale di gloriose tradizioni, che negli ultimi anni è stato trascurato ingiustamente.
Infatti il parco è stato il primo giardino pubblico di Genova, meta preferita di passeggiate fino ai primi del Novecento e ricordato anche da Stendhal nel suo “Viaggio italiano”.
Gli attori, giovani, motivati e di talento, legati alla scuola di recitazione Mariangela Melato, danno vita a personaggi rimasti fortemente presenti nella storia e nella toponomastica genovese.
Il dramma si riferisce agli avvenimenti che convinsero il giovane conte di Lavagna Gianluigi Fieschi a congiurare, nel 1547, contro Andrea Doria, padrone incontrastato della città, e la sua famiglia.Un’opera a spunto storico ma fortemente improntata verso passioni e sentimenti umani. Il dialetto genovese,che compare nel testo a tratti in maniera apparentemente casuale, si pone come un elemento teatrale che sembra rendere giustizia al fatto che l’opera sia stata più nota altrove che a Genova.
Fa riflettere il sentimento di insicurezza che aleggia nel Fiesco protagonista e che corre parallelo alla sua determinazione, nonchè i risvolti peggiori della sua natura umana, che finiranno per rivoltarglisi contro: il fingere amore verso una donna di parte nemica al prezzo della sofferenza della moglie, concedere grazia, prezzolare e fidarsi di un sicario che già aveva provato ad ucciderlo e che finirà per tradirlo. Questo sicario turco è un talento notevole, il vero elemento scenico comico e paradossale della rappresentazione. E ancora si riflette sull’oscillazione del protagonista tra il desiderio di potere e quello di una vita libera: e come succede spesso ancora nell’odierno vissuto chi propone la seconda è una donna, la moglie Eleonora.
Una storia di forti e feroci passioni umane che soccomberanno alla ” politica”, che paiono rinforzate a tratti dall’aleggiare dello spettro della quasi certezza della morte. Splendidi i costumi dell’epoca, studiati attraverso i ritratti cinquecenteschi e tarati sulla psicologia dei protagonisti, dove la porpora di Giannetto Doria rappresenta il potere cieco, meglio la luminosità del Fiesco.
Un dramma che “svuota” lo spettatore: se è vero che il fine del teatro è la catarsi, ebbene Schiller fa centro perfetto.
Ma in lui c’è anche un sentore di redenzione, gli eroi non soccombono invano: già si odora il tragico epilogo del potere incontrollato e della corruzione dei regnanti, la rivoluzione francese. Tra poco, anche gli dei in terra rantoleranno di fronte alla morte…
Interpretato da Simone Toni, Andrea Nicolini, Roberto Serpi, Aldo Ottobrino, Irene Villa, Barbara Giordano, Francesco Sferrazza Papa, Rabii Brahim, Silvia Biancalana, Davide Mancini, Melania Genna, Chiara Vitiello, per la regia di Carlo Sciaccaluga. Aiuto regista Alice Ferranti, costumi di Anna Varaldo, luci di Aldo Mantovani, musiche di Andrea Nicolini. ELISA PRATO