Leggo degli eventi della “mia” Sampierdarena che peraltro non sono dissimili da quelli di città, paese e metropoli nostrane, diventate “jungles” e territori talvolta di guerra.
Ma quando fatti e situazioni toccano la terra che conosci palmo a palmo, ti colpiscono il cuore e ti fanno più male.
Nella ex Manchester di Genova ci ho passato circa mezzo secolo da imprenditore e parallelamente almeno 40 anni da giornalista e poi anche scrittore.
L’ho narrata, descritta, esaltata, stigmatizzata in tanti eventi nefasti. Credo che potrei tenerci una conference da 24 ore ed una lectio di giorni senza tuttavia terminare la narrazione completa.
Oggi la vedo diversamente; vado più spesso a Roma che nella “mia” Sampierdarena, “delegazione ponentina” come la definii tante volte a partire dal Giornale allora di Montanelli, poi Il Lavoro, quindi Repubblica e quindi Corriere Mercantile, Telecity con l’amico e cronista di Sampierdarena Marco Benvenuto nonché nella migliore avventura locale durata 8 anni o giù di lì di direttore del Gazzettino sampierdarenese.
Non ho conta precisa dei pezzi firmati sulla zona ma credo siano decine di migliaia.
Ho alla mie spalle, nella libreria del mio studio, una targa che mi fu data appunto a Sampierdarena per la mia attività in zona e per essere stato sampierdarenese nel mondo, cronista italiano.
E’ in un punto nevralgico, esposta con tutto il mio orgoglio possibile.
A Sampierdarena devo tantissimo per me e la mia famiglia. Per l’attività imprenditoriale zeppa di soddisfazioni e perché senza questa zona bella e brutta, difficile e grande, non sarei giornalista o non lo sarei a buon livello.
Problemi da quelle parti ce ne sono sempre stati; ricordo che iniziai la carriera di cronista a fine anni ‘70 scrivendo di troppa spazzatura, insegne costose, piscina senza permesso, scuola senza caloriferi, Lungomare Canepa allagata ad ogni pioggia ma anche altro, finché nella storia italiana non fecero irruzione le Brigate Rosse che in via G.B. Monti furono assassine di due carabinieri.
Tragedia nazionale che mi gettò nella “nera” quando ancora percorrevo l’iter per agguantare il mitico tesserino dell’Ordine, mai immaginando che ne sarei addirittura diventato figura istituzionale. Mentre poi la “nera” fu mia materia principale per quasi 4 anni.
Oggi quando faccio la rassegna stampa, le notizie della zona non possono pertanto mancare di attrarre la mia attenzione. Mi entrano dentro, mi suscitano qualcosa di particolare.
Apprezzo un tentativo in atto di recupero della zona che ricordo da giovane ricca di negozi di livello, elegante, vivace, di tanti amici, una città nella città da fare invidia al centro e meta cercata da tanta gente che arrivava da tutta la città perché Sampierdarena era unica forse al mondo come territorio e specificità.
L’ho conosciuta entrando a casa della sua gente, nelle istituzioni fino ad un declino profondo, rapido, frutto di mille cause, da scelte sbagliate ad abbandono politico nonostante non si sia mai arresa a diventare periferia, sobborgo, terra di nessuno in certi casi. Ma purtroppo così è stato.
Per spiegare tutto ciò ci vorrebbe non un editoriale ma un volume e queste righe che sto scrivendo d’impeto e con il cuore dopo che l’amico e collega Luca bartesaghi me ne ha offerto il destro, sono soltanto espressione di sentimenti. Di un ricordo indelebile che ho dentro.
La Lanterna non è il Colosseo ma le proprie radici storiche sono il monumento più bello alla vita personale che possa erigere. Dino Frambati