L’opera di Giuseppe Verdi (1813-1901) è pervasa da personaggi appassionati e vitali, inseriti in vicende intense, nelle quali i protagonisti hanno modo di mostrare sentimenti e contraddizioni con grande forza espressiva. D’altra parte il compositore era nativo della laboriosa e generosa provincia parmense, cresciuto tra persone semplici ed autentiche, cosa che gli permise di veder chiaro nell’osservazione del vissuto e di porgerlo in musica attraverso una visione concreta e volutamente innovativa.
Concluso il ciclo decennale delle opere giovanili, cominciato con il Nabucco del 1842, Verdi incanala il proprio stile verso produzioni intimiste, più aderenti all’animo umano: nasce così la trilogia popolare ,“Rigoletto” (1851), “Il Trovatore” e “ La Traviata”(ambedue del 1853).
La prima rappresentazione dell’opera avvenne al teatro La Fenice di Venezia nel marzo 1853.
Musicata su libretto di Francesco Maria Piave, la storia della dolce Violetta è stata ispirata da“La signora delle camelie”, testo teatrale di Alexandre Dumas (figlio), tratto dallo stesso autore dal suo precedente omonimo romanzo, in cui si narrava la storia di Marie Duplessis, cortigiana ed amante di Dumas, morta giovanissima nel 1847, definita dallo stesso “ una delle ultime e sole cortigiane provviste di un cuore.”
Verdi, che due anni prima aveva proposto “Rigoletto” ai veneziani, scrive nel gennaio 1853 a De Sanctis: “ A Venezia faccio la Dame aux Camélias, che avrà per titolo, forse, Traviata, un sogeto dell’epoca. Un altro non l’avrebbe fatto per i costumi, pei tempi, per mille altri goffi scrupoli…Tutti gridavano quando io proposi un gobbo da metter in scena. Ebbene io ero felice di scrivere il Rigoletto…”
L’autore parla chiaro quando afferma di voler portare l’attualità in scena, al fine di sfidare le ipocrisie e la doppia morale della classe media del tempo: Violetta non si riscatta perchè pentita ma perchè ama davvero.
La donna che per amore rinuncia all’amore è un motivo del teatro ottocentesco, già presente nel tardo settecento e già introdotto da Verdi nel Rigoletto.
D’altra parte anche il Nostro stava compiendo un cammino personale in quanto i trascorsi della donna alla quale si era legato, la soprano Giuseppina Strepponi, non erano proprio a tiro con la morale dell’epoca: nonostante accogliesse il pensiero di Dumas, quello che conta è il contenuto del cuore,impiegò quasi un ventennio prima di decidersi a sposarla. E non dimentichiamo qualche affiorante contraddizione nella morente Violetta, che augura all’amato, finalmente consapevole della propria cecità, di trovarsi, dopo di lei e con la sua benedizione,“una pudica vergine nel fior degli anni”.
E’ evidente, persino nell’andamento musicale artificioso della cabaletta, che Verdi non ha in simpatia il personaggio di Alfredo, banale provinciale attento alle proprie voglie ma molto meno a capire la tempra della donna che lo ha attratto ed i suoi generosi comportamenti anche finanziari: per una donna abituata alla sostanziale umiliazione di essere pagata, il vero amore non ha prezzo. Lo scontro tra i desideri degli umani e le eterne beffe del destino è il nucleo narrativo dell’opera.
Già nel preludio il suono dei violini richiama l’aria famosa di “Amami Alfredo” ed anticipa la passione che percorre persino la dolente parte finale dell’opera, creando aspettativa e pura emozione: l’aria torna nel finale quando la protagonista si illude di vivere, il duetto poi sale e ricade accompagnando la caduta di Violetta priva di vita.
Arriviamo ad uno dei motivi conduttori dell’opera, l’attenzione per il buon bere di Verdi, figlio di un vinaio, che scrive in “Brindisi”, un’aria da camera , “ tu solo bicchiere non sei menzognero, tu vita dei sensi, letizia del cor…se te non ci desse la provvida vite sarebbe immortale l’umano dolor.”
Nell’atto primo della Traviata è Violetta la protagonista dell’amata aria a tempo di valzer“ Libiam nei lieti calici”, il brindisi più famoso nell’opera lirica : nella festa in corso nella sua elegante casa, un allegro brillante introduce in salotto e precede il duetto.
Il vino scorre a fiumi tra danze, chicchere e risate e rende coraggioso Alfredo nel proporsi all’amata intonando l’aria “Un di felice eterea” ed ancora “Libiamo, amor fra i calici più ardenti baci avrà”. E per Violetta ”Godiam, fugace e rapido è il gaudio dell’amore, è un fior che nasce e muore..” Emblematico un intero tendaggio fatto di eleganti bicchieri.
La scenografia appare innovativa e votata al simbolo, aspetto caro al regista Gallione e già gustato ne “La rondine”. Stavolta però l’albero spoglio non è mai spento anche quando compare, nell’ultima scena, segato: l’amore resta e non muore con Violetta. Meglio forse avrebbe reso un luogo più raccolto per celebrare la morte della protagonista.
I costumi sono magnetici e di forte impatto visivo ed emotivo.
Buone le doti vocali di Lana Kos, che ha la sagacia di modulare e non calcare su artifici melodici quando sono da evidenziare o lo richiedono gli aspetti di presa emotiva del testo. Del tutto credibili gli interpreti maschili.
L’opera resta al Teatro Carlo Felice fino a domenica 6 maggio.
Elisa Prato