Musica e testo dell’operetta La vedova allegra, in cartellone al Teatro Carlo Felice di Genova fino al 5 gennaio, inducono a qualche riflessione.
Un motivo è popolare quando viene memorizzato o riconosciuto indipendentemente dal fatto che si conosca il nome dell’autore, o dell’ opera dalla quale proviene, o il titolo del brano.
Una melodia, un duetto, una cavatina è popolare quando una comunità se ne appropria, anche senza interessarsi alla sua provenienza.
Per quale motivo “La vedova allegra” può considerarsi al vertice della popolarità per quanto attinente al novecento in musica? Così amata, avvincente, godibile, tanto che il suo iconico valzer, i suoi duetti, le sue note sono universalmente riconosciuti e spesso canterellati anche dai non conoscitori. Tanto che si fatica a considerarla operetta nel significato di arte minore che la parola sembra racchudere.
Forse perchè in ognuno di quei personaggi scaltri e scanzonati c’è parte di una umanità che riconosciamo un poco anche in noi e attorno a noi.
Danilo, giovanotto apparentemente superficiale perchè probabilmente non allevato ai valori, con scarsa voglia di lavorare, frequentatore di locali notturni, è forse intimamente stanco di una vita futile: porta con se il ricordo e forse il rimorso di un amore ostacolato dalla famiglia, che non ha avuto il coraggio di perseguire e di difendere.
Hanna non è più la fanciulla che ha visto morire un sogno; oggi è una donna emancipata e disincantata, che conosce affettivamente gli uomini e che anche economicamente ha assunto la prerogativa maschile del controllo. Forse sposata per interesse o per rassegnazione, è provvista di un solido realismo misto ad una saggezza antica: sa bene che in battaglia d’amor vince chi fugge, ma quando si è sicuri che il beneamato ti inseguirà, anche se un po’ aiutato dal luccichio di un solido patrimonio.
Parallelamente alle schermaglie di Hanna e Danilo si svolgono quelle, sempre provviste di un filo di attualità, tra la coniugata Valentienne e Rossillon: l’uomo scrive “ ti amo” per dire “ ti voglio”, la dama, prima di acconsentire a ciò che desidera ed assecondare la sua passione per il flirt, sente la necessità di autoconvincersi e di convincere della sua onestà. Tanto da attestarla sopra un ventaglio che alla fine salverà il suo matrimonio. Dispostissima però a far sposare con Hanna l’agognato amante, al fine di non perdere nè l’uomo nè la rispettabilità coniugale, alle spalle di un marito sospettoso ma facile da turlupinare.
E ancora quest’ operetta stigmatizza con sottile ironia, nei coretti finali bifronti, un pensiero che ancora sonnecchia in entrambi i sessi, il presunto mistero del mondo femminile, difficile da capire e da studiare, nonché l’inutilità di scalfire il mondo maschile perché praticamente immutabile: per giungere, ma con allegra ironia, alla convinzione degli uomini di essere sempre gabbati dalle donne e alla determinazione di queste ultime di sopravvivere ad un perduto Eden aggirando i granitici ostacoli con la burla. ELISA PRATO