Ecco una duratura unione, fondata (se così si può dire, ma si può dire?) su una solidità apparente, che nasconde sotto comportamenti trasgressivi, la mancanza di coppia, di vera complicità tra i coniugi: impossibile non sapere, non accorgersi della vita parallela dell’altro.
La di lei reticente sincerità porta a squarciare il velo (pietoso, o meglio bucherellato) delle menzognette coniugali: la donna è affamata di affetto e di verità, ammette di essere stata conquistata da uno straniero che l’ha corteggiata “con lo sguardo” e di voler partire con lui.
La reazione del marito non è quella di un uomo che ama, è piuttosto quella di chi sottilmente impone e vuole mantenere a tutti i costi il proprio regime di vita, di chi intende tenersi stretto con consapevole e cinico egoismo quello che “possiede”, compresa la propria libertà di azione, attestata, si scopre nel finale, dalla contabilità particolareggiata delle molte relazioni femminili.
Per raggiungere il proprio scopo il nostro protagonista, maestro di trucchetti psicologici, sceglie un metodo cinico ed antico: risvegliare nella moglie la spinta alla competizione mediante il confronto con la sua segretaria, una donna più giovane ed apparentemente disinibita, ma non priva di un tastabile senso della realtà.
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Intanto i due coniugi si versano addosso i propri demoni interiori mediante frasi colme di sottili giochi cerebrali ed atteggiamenti colmi di provocazione.
La rottura parrebbe inevitabile: ma la possessività di ambedue, l’abitudine che frena la voglia di rimettersi in gioco e la paura delle incognite affettive del domani riescono ad avere il sopravvento
I due coniugi resteranno assieme, la facciata, le abitudini, il conto in banca sono salvi.
E per il resto, per cercare di installare un vero colloquio, la lezione sarà servita?
Gli attori si muovono su una scena improntata al loro tipo di rapporto: un appartamento moderno, di fredda eleganza, rallegrato dalla centralità di bottiglie e bicchieri coloratissimi, con i quali gli attori hanno uno scambio costante. Simpatica sorpresa la comparsa sporadica della povera anatra che non vorrebbe finire in padella.
Recitazione che convince, con un plauso particolare al sagace cameriere ed alla imprevedibile segretaria.
Dialoghi serrati ed azzeccati, su toni leggeri, comici e spesso surreali, contengono tuttavia la rabbia, il cinismo e la logorrea di chi, colpevole o meno, vede franare la propria unione.
Ed è proprio l’astuta costruzione dei dialoghi che ammanta di veridicità la sofferenza dei coniugi e quasi convince lo spettatore che i due restino insieme, ma sì, perchè si amano.
William Douglas Home ( 1912-1992), scozzese di Edimburgo, è l’autore del testo originario “The Secretary Bird”, scritto nei primi anni ’70; politico,militare e drammaturgo, descrive nei propri testi il mondo cinico e disincantato delle classi sociali agiate in cui si muove, sdrammatizzandolo con il famoso humor britannico.
“L’anatra all’arancia” va in scena al Teatro della Corte fino al 28 gennaio. Prodotto dal Teatro Eliseo e Fondazione Teatro della Toscana, è interpretato da Luca Barbareschi, Chiara Noschese, Gerardo Maffei, Margherita Laterza, Ernesto Mahieux.
Elisa Prato