In un villaggio della Siria la giovane Rehana sogna di diventare avvocato e si ritrova a combattere in prima linea contro l’ISIS
Era il 2014 quando l’ISIS attaccò e mise sotto assedio la città di Kobane e i villaggi attorno, al confine siriano con la Turchia. Un anno dopo, le truppe dell’alleanza tra curdi ed esercito siriano libero, con l’appoggio Usa, riconquistarono il territorio, ma una nuova offensiva dello stato islamico provocò ancora morti. Uccisioni, distruzione, fughe, violenze: passati cinque anni, la guerra siriana è una delle pagine più cupe della storia recente.
Il pluripremiato autore inglese Henry Naylor, classe 1966, ha condotto una lunga indagine su quei fatti, andando a fare interviste e ricerche sul campo (per assemblare uno studio accurato su quanto accaduto). Da quei materiali incandescenti ha tratto un magmatico racconto, un flusso di coscienza che prende spunto da una storia vera, quella di una giovane donna, una contadina curdo siriana chiamata Rehana, che avrebbe voluto studiare, diventare avvocato, e invece imbracciò il kalashnikov. Fino a diventare un implacabile cecchino delle truppe femminili che combatterono contro l’Isis. Storia amara, tragica, violenta, cruda come la guerra.
«Volevo raccontare – spiega Naylor – quanto e come i nostri sogni possono essere distrutti dalle ambizioni di qualcun altro. E di come una donna, che credeva nel pacifismo e nella giustizia, si sia convertita alle armi e alla violenza». La versione italiana dello spettacolo, nell’intensa traduzione di Carlo Sciaccaluga, con l’attenta regia di Simone Toni e la creazione scenico-visiva firmata da Christian Zurita, si avvale della magnifica performance interpretativa di Anna Della Rosa, davvero straordinaria nei panni della giovane guerrigliera. Dopo il debutto alla Rassegna di drammaturgia contemporanea del 2018, L’angelo di Kobane torna in scena sull’onda di un sincero e condiviso successo. Per non dimenticare.