Da qualche giorno al Teatro Modena è in scena un rifacimento in chiave moderna de “L’Avaro”, con grande affollamento di pubblico e fragorosi e prolungati applausi alla fine e durante lo spettacolo.
Molière (Parigi 1622- 1673) ovvero Jean Baptiste Poquelin, è stato uomo di teatro a tutto tondo, autore, attore, regista e, con meno successo, anche impresario.
Ispirato dai comici italiani dell’Arte, arrivò al successo adattando le espressioni del teatro ai luoghi che percorreva con la sua troupe; lasciò presto la tragedia per dedicarsi alla farsa e alla satira di costume contemporanea, sua autentica vocazione. Oggi qualcuno lo ha definito il maggior autore comico di tutti i tempi.
Raggiunto un certo benessere a causa della protezione della famiglia reale, di cui il padre era fornitore, fu libero di esprimere il suo intimo più vero, quello dell’uomo che conosce solo le regole della ragione e che sfida la società organizzata ed i suoi dettami.
Fu sostenitore della “morale naturale”, nemico di tutte le costrizioni imposte all’uomo, comprese quelle della legalità: “non pretendete di convertirvi, correggervi, costringervi, restate come siete!” Una morale popolare e borghese che in futuro si chiamerà “spirito laico”.
La solida istruzione classica appresa dai gesuiti gli consentiva di prendere spunti dagli autori antichi e così è stato anche per L’avaro (1668), tratto da Aulularia di Plauto ma rivisto con una nuova potenza cromatica: Arpagone è nemico della giovinezza e dell’amore e perciò verrà sconfitto, anche se permane latente una certa amarezza, una componente frequente nella psiche, la nevrosi di accumulare per compensare crediti affettivi,
L’arte del nostro autore comunica il senso di una sicura concretezza, inserita anche nel linguaggio usato, precisa, immediata: non offre suggerimenti allo spettatore e nulla gli chiede.
E palesemente il Nostro parteggia per le modalità del corretto maritarsi, comprensivo del diritto al consenso da parte della donna, fustigando il costume dell’epoca di combinare matrimoni per gli interessi delle famiglie.
Dopo i grandi classici non resta più nulla da imparare, così sostiene qualche moderno artista.
E perciò questo spettacolo è del tutto “moderno” ed adatto ai disincantati tempi attuali: così lo ambienta il regista Saravo offrendo una bella scena luminosa e duttile, con armadi trasparenti, quasi vuoti e facilmente spostabili per i cambi di ambienti: al centro una grande porta al di là della quale Arpagone custodisce in una cassetta grigia il suo tesoro.
Gli attori vestono abiti d’oggi. Il protagonista vive in funzione dell’accumulo di ricchezza imponendo una vita inutilmente misera e frugale a servi, animali, nonché ai propri figli, per i quali progetta matrimoni di puro interesse che dovrebbero servire ad aumentare il suo gelosamente celato e infruttuoso patrimonio.
Qualche sprazzo di invidia per chi sa investire, moti di fastidio verso spot televisivi che incentivano a consumare.
Bravo e di spiccata abilità e padronanza corporale tutto il cast, tra cui lo stesso Saravo.
Dighero domina in pieno la scena, ironico e “cattivo” al tempo stesso. Nelle parti principali Mariangeles Torres interpreta con verve la ruffiana Frosina e il servitore di Cleante, Stefano Dilauro è Cleante, Elisabetta Mazzullo una brava Elisa, Fabio Barone è Valerio, Rebecca Redaelli è Marianna. Il finale divertente e inatteso mette in dubbio anche qualche… affetto.
Lo spettacolo resta al Teatro Modena fino al 26 novembre: un lavoro piacevole e divertente per la durata di due ore e mezza, intervallo compreso, pieno di colpi di scena e per nulla pesante. Da vedere. ELISA PRATO