GENOVA. 27 APR. Una sera come tante nei caruggi, verso la morte. Una giovane donna nel pieno della sua vita, sgozzata senza un perché. Dieci anni fa, il 28 aprile 2006, Luciana Biggi, 33 anni, veniva barbaramente uccisa in vico di San Bernardo da qualcuno.
A distanza di dieci anni, il colpevole non c’è. Forse, non ci sarà mai. All’epoca ci furono alcuni indagati E molti sospettati. Uno in particolare fu prosciolto con la formula prevista dal secondo comma dell’art. 530 del nostro codice penale, che il giudice deve applicare quando la prova manca, è insufficiente o è contraddittoria.
Oggi non voglio parlare di quello perché sono già stati spesi fiumi di parole e, forse, non ne vale la pena.
Vorrei raccontare chi era Luciana Biggi e i fatti successivi al quel terribile, tragico evento, sentiti bruciare sulla pelle insieme alla sorella gemella, che li ha affrontati con esemplare dignità. Roba che, senza mezze parole, ti sconvolge e cambia la vita.
Luciana, Luccy per gli amici, era una ragazza simpatica, generosa ed estroversa, piena d’amore, con tanta voglia di vivere e sempre pronta ad aiutare qualcuno.
Ricordo sempre come l’avevo conosciuta oltre dieci anni fa, lei e la sorella Bruna.
Sono con degli amici, in corso Italia, un venerdì sera. Loro stanno litigando. Due belle ragazze che discutono in pubblico ad alta voce e d’impeto, è bastato dire: “Dai non litigate, la vita è bella!!” per ricevere da Bruna un “vaffa e fatti gli affari tuoi!” e sentirsi dire dalla più dolce Luccy: “Non l’ascoltare…dai…”, presentarsi e ritrovarsi poi a ridere, scherzare e fare colazione tutti insieme alle cinque del mattino.
Gli anni passano con frequentazioni alterne e qualche allontanamento, ma i sentimenti di amicizia restano.
Poi, nella famiglia di Bruna e Luciana viene a mancare dapprima il papà e poi la mamma, una tristezza immensa con le due sorelle che si avvicinano ancora di più. Due fragili gocce d’acqua, che diventano una, risucchiate dalla strada della vita, dove si possono fare brutti incontri.
La notte del 6 gennaio 2006, Luccy arriva nella casa di famiglia. Non è da sola. E’ senza chiavi, non le trova e suona. In casa c’è Bruna, che apre la porta alla sorella e vede per la prima volta il suo nuovo amico. Qualcuno che le resterà vicino fino agli ultimi momenti della sua vita, quello che da molti sarà considerato il suo assassino. Agghiacciante.
I giorni, però, non passano tanto tranquilli.
Il 27 gennaio è il giorno del loro compleanno. Decidiamo di passarlo solo noi tre e di far festa. Prenotiamo un tavolo in un locale in Versilia. Però, all’ultimo momento, Luccy ‘tira il pacco’. L’indomani ammetterà che “qualcuno” le aveva impedito di festeggiare felice con noi.
Comincia così e prosegue nei giorni a seguire, l’isolamento di Luciana. E’ quasi inavvicinabile. Neppure Bruna riesce a vederla e a starle accanto, con la stessa regolarità di prima.
Una mattina mi squilla il telefono. I vigili del fuoco avvertono che l’appartamento della famiglia Biggi è esploso. Il tubo del gas è stato staccato, ma Luciana è salva. Stordita, ma salva. Non era stato ancora il suo momento.
Ogni tanto Luccy chiama, digitando il numero telefonico di nascosto da quel “qualcuno”: “Sai, è gelosissimo, possessivo…”. Improvvisamente, capita che arrivi in ufficio o a casa senza annunciarsi. Forse la storia con quel qualcuno, non andava così bene e si voleva distrarre. Forse cercava aiuto, per qualcosa di molto più drammaticamente e dannatamente serio.
Bruna ha una bimba alla quale badare e nel contempo deve tenere sotto controllo la sorella e il suo nuovo ‘amico’.
Spesso arrivano telefonate dai vicini: “Quelli litigano sempre…pesante…”. La preoccupazione per quella storia sale, ma stupidamente non si pensa mai al peggio. Come per allontanare ed esorcizzare il male. Invece, dietro all’angolo può esserci l’inferno.
Due giorni di silenzio, il terzo proprio dieci anni fa. Al mattino mi sveglio, vado al lavoro e comincio a sbirciare le prime agenzie, i comunicati stampa, accendo la TV, apro le pagine dei quotidiani. Solita routine.
Pochi minuti e arriva la notizia di cronaca nera. Una giovane donna trovata morta nella notte, nel centro storico genovese, sgozzata. Niente documenti addosso. Non si sa chi è, solo “una bionda, probabilmente dell’est, con gli occhi chiari”.
Pubblico la notizia così com’è. Non penso a Luccy. E’ un susseguirsi di lanci di agenzia, di appelli per riconoscerla. Insomma, il caso dell’omicidio e le prime frammentarie notizie. A metà mattinata mi sale dal cuore una strana angoscia perché man mano la descrizione corrisponde alle ragazze che conosco bene.
Chiamo Bruna. Risponde al telefono, sospiro di sollievo: “ciao Bru tutto bene?”. “Si si… tutto a posto”. “Sei a Casa? Luccy è lì con te?”. “No, non c’è, sai com’è fatta, non la sento da un paio di giorni…”. “Ah, ok, dai va bene ci sentiamo più tardi…”. “Ma è successo qualcosa? Sono agitata…”. “No, Bru, nulla nulla, non è successo nulla… stai tranquilla, a dopo”.
Passano due minuti e squilla il telefono. Bruna, è molto agitata: “Lu, ho guardato la tele, ho visto di questa ragazza che hanno trovato, ho l’ansia, ne sai qualcosa?”. “Bru, stai tranquilla ora chiedo, ma vedrai, non c’entra nulla, sicuro”.
La preoccupazione sale e si trasforma in agitazione. Chiamo una fonte investigativa. Mi dice: “Guarda, abbiamo delle indicazioni, potrebbe trattarsi di una giovane dell’est, non credo si tratti di un’italiana. Comunque vieni qui, così ti levi ogni dubbio”.
Non sono in grado di guidare l’auto per l’agitazione. Tremo. Prendo un taxi. Arrivo in commissariato. Mi chiedono la descrizione fisica e le generalità della mia amica. Sono note generiche, ha i capelli castano chiaro, il trucco permanente, i vestiti, un tatuaggio particolare su una spalla. Poi la fatidica domanda: “C’è un’altra cosa di particolare… un altro tatuaggio in un punto….”. Mi viene in mente un sole disegnato su una caviglia. “Dobbiamo verbalizzare in questura” e l’inferno mi si apre sotto i piedi.
Con una pattuglia andiamo a recuperare Bruna. Gli investigatori la vedono e strabuzzano gli occhi: è uguale all’altra, trovata poche ore prima sgozzata nei caruggi. Pensavano si trattasse di una sorella, non di una gemella. Urla di dolore, pianti e gambe che non ti sostengono più al centro medico legale del San Martino. Il cuore a pezzi.
Ma non c’è tempo da perdere. L’assassino è ancora in giro. In questura comincia la serie di domande, anche intime. Addirittura, vengono fatte alcune illazioni su Luccy, che poi verranno definitivamente smentite a livello medico.
La giornata è cupa, c’è pure il cielo coperto.
Usciamo dalla questura con Bruna. Abbiamo risposto alle domande per oltre un’ora. C’è la necessità di camminare, ma è difficile allontanarsi da quel luogo. Ci separiamo un attimo. Io da una parte e lei dall’altra. Abbiamo voglia di pensare.
Poi la richiesta da parte di Bruna: “Questa sera voglio andare nei caruggi, voglio incrociare lo sguardo di qualcuno che mi prende per mia sorella. Magari lo riconosco come l’assassino”. “Ok”. Si parte a stomaco vuoto.
Giriamo per i vicoli del centro storico. Poco dopo, abbiamo la sensazione di essere seguiti e lo siamo davvero. Notiamo che abbiamo degli angeli custodi. Sono gli investigatori della sezione Omicidi che ci seguono. Li salutiamo e spieghiamo la nostra idea.
Bruna vuole andare sul luogo dell’omicidio, vico di San Bernardo, tra il bar Moretti e salita di Mascherona. Ci sono ancora tracce di sangue, mi guarda e all’improvviso esclama: “Voglio vedere cosa ha visto mia sorella prima di morire…” e si stende per terra nel vicolo. E’ un’immagine forte, terribile, indelebile.
Ancora più terribile l’indifferenza di alcune persone presenti e quella di un gruppo di un comitato spontaneo, che manifestano per la sicurezza e anche per Luciana, ma non riconoscono neppure la sorella gemella.
Giunge il tempo per il funerale. E’ il terzo per la stessa famiglia, sempre nella chiesa di Bolzaneto. C’è mezzo quartiere. La chiesa è stracolma. Manca l’aria. In mente solo i bei momenti passati con Luccy. Insieme agli altri mi isso la bara sulle spalle. Poi l’ultimo saluto al cimitero della Biacca.
Le indagini proseguono. Vengono ascoltati tanti indiziati, extracomunitari ed italiani.
Alcune delle possibili prove, ossia eventuali tracce lasciate dall’assassino sul luogo del delitto, sono contaminate dal necessario intervento dei volontari del soccorso, ma anche da altri. L’arma del delitto, un coccio di bottiglia, non si trova.
Eccezionale un video (non più visibile al pubblico ma agli atti dell’indagine) del blog del settimanale Panorana. Compaiono i momenti successivi all’omicidio con i mezzi di soccorso. Qualcuno, inavvertitamente, calpesta anche il sangue.
Alcune telecamere del Comune, poste all’incrocio di salita di Mascherona e via di San Bernardo, tuttavia risultano non funzionanti ed altre immagini vengono fornite da telecamere più lontane.
Gli investigatori focalizzano gli sforzi su l’ultima persona rimasta, quella che ammette di aver visto Luccy fino a poco prima della sua morte. In questura vengono appese al muro tre foto dell’indagato, con la scritta “X files”.
L’ ultimo, unico indiziato, viene prima arrestato. Poi liberato, preso l’anno dopo con il coltello in mano a Sanremo e condannato. Ma questa è l’altra storia. Per Luccy non è stata fatta giustizia.
Rimangono solo le parole del pm Enrico Zucca davanti alla giuria popolare: “Liberatevi dal pregiudizio. L’imputato che siede davanti a voi è un assassino, già condannato per un altro omicidio ma il pm, in quest’aula, deve dimostrare con le prove le sue responsabilità…”.
Dopo l’assoluzione dell’imputato, fuori dall’aula, lo stesso pm che mi prende le mani: “Ho fatto il possibile”. L.B.
(nella prima foto: l’ultima immagine di Luciana Biggi ripresa durante l’inaugurazione di un noto negozio di arredamenti nel centro di Genova; nella seconda: le due sorelle Bruna e Luciana Biggi in un momento felice).