Il teatro piange un suo importante maestro: la dipartita del regista genovese ha lasciato un grande vuoto ma non di certo un grande silenzio attorno a sé.
Tanti ne hanno parlato, ne hanno celebrato le opere ma noi qui vorremmo fare un ritratto un po’ diverso dell’uomo, creando un piccolo cameo di Sandro Baldacci dalle parole di una persona importante, la sorella Marina.
Lei ci ha tratteggiato la figura con viva emozione e grande commozione. Scopriamo allora qualche aspetto particolare di questo regista.
Per la famiglia Baldacci la recitazione è qualcosa di familiare, infatti già i genitori amavano recitare in piccoli spettacoli teatrali organizzati tra amici e parenti. A Sandro però piaceva esprimere e far esprimere la parte più nascosta dell’io, traendone una visione della vita molto profonda ed un’emozione altrettanto radicata.
In questo senso gli erano venuti incontro gli studi di psicologia, che portavano a caratterizzare i personaggi in modo molto marcato. La sua carriera teatrale era iniziata molto presto con laboratori espressivi presso il Teatro Stabile del capoluogo ligure, dove chiedeva che ogni singolo attore veicolasse il meglio di sé sulle tavole del palcoscenico.
E’ qui che nasceva poi una collaborazione con il carcere, grazie anche all’incontro con Mirella Cannata insegnante di storia dell’arte ed appassionata di teatro, dove i due vengono a trovare i soggetti meno fortunati e meno professionalmente preparati a calcare le scene.
Questa diventa la loro più grande sfida: offrire la possibilità di mettere in luce la parte migliore di chi sia escluso dalla società civile. “Dai diamanti non nasce niente”, diceva spesso il regista citando la nota canzone di De’ Andrè, e qui aveva trovato questa possibilità di dare voce a chi non avesse alcuna opportunità. Un ruolo importante veniva anche svolto dai direttori della Casa Circondariale di Marassi ed a tutti gli operatori e la Polizia Penitenziaria che avevano da subito aderito con entusiasmo al progetto di Sandro.
Non solo attori, i detenuti nel tempo verranno coinvolti anche nella creazione delle scene, nella gestione di luci e suoni senza quindi ricorrere ad aiuti esterni ma rendendo le persone recluse tecnicamente in grado di lavorare anche dietro le quinte.
E’ qui che, grazie all’ispirazione dei grandi maestri come Lindsay Kemp e Jerzy Grotowski, il regista guida i detenuti a respirare un clima culturale del tutto nuovo, fatto di arte e di bellezza in una delle più blindate istituzioni totali, dove possono esprimere il meglio di loro stessi.
Nella reclusione si trova la massima libertà artistica attraverso la scena teatrale. Un paradosso che aiuta in ogni senso i detenuti e, nello stesso tempo, apre il carcere agli spettatori che scoprono un mondo così diverso oltre quelle spesse mura. La quarta parete viene superata agevolmente da chi recita e da chi osserva, creando così un dialogo interno tra attore e spettatore basato sulle emozioni, le più ancestrali e le più condivise.
Le più profonde. Non solo teatro in carcere ma anche teatro fuori dai teatri: Sandro infatti avrebbe gestito per diversi anni il locale “Nessundorma”, dove non si entrava solo per consumare cibi e bevande ma per ascoltare buona musica, per godere di una pièce teatrale o assistere alla presentazione di un libro.
La cultura quindi, nel suo stato più elevato, anche al di fuori dei luoghi istituzionali. Un artista visionario e creativo ma anche un regista severo che non lesinava i rimproveri se la parte non veniva recitata nel modo migliore. In questo senso, Sandro pretendeva molto dai suoi attori, sapendo che ognuno di loro poteva essere in grado di rendere le tante o poche righe del copione un’opera d’arte. L’espressione artistica permetteva di vedere oltre il reato e la pena, fungendo anche da momento di catarsi per superare la negatività vissuta, non dimenticandola ma elaborandola e dandole una sistematizzazione nell’esistenza di ogni condannato.
Oggi tutto questo verrà sì a mancare con la sua scomparsa ma siamo certi che quanto abbia costruito dentro e fuori dal teatro, rimarrà per sempre nella memoria di tanti che hanno apprezzato la sua opera ad ogni livello.
Tra le tante opere messe in scena da Sandro Baldacci, non possiamo non ricordare uno strepitoso “Billy Budd marinaio”, tratto dall’opera di Hermann Melville dove le dinamiche che si sviluppano sulla nave del noto gabbiere di parrocchetto, sono del tutto simili a quanto accada in carcere e, se vogliamo, nell’intera società. Una nave sulla propria rotta come rappresentazione del ciclo della vita.
E citando la presentazione dello spettacolo: “…qui la nave è una costante metafora del luogo circoscritto e al tempo stesso un simbolo di libertà; forse perché, questa storia tutta al maschile, dove si formano gruppi e dove si mescolano caratteri diversi può anche essere ricca di spunti comici… dove la musica è sicuramente il linguaggio più adatto per raccontare la paura, la tristezza, la rabbia, il bene e il male, il dolore e la gioia; e solo lei può spingersi fino al soprannaturale.”
Buon viaggio Sandro.
Un ringraziamento a Marina Baldacci per la preziosa testimonianza e a Roberto Materassi per le foto di scena. Roberto Polleri