Allestimento sorpendente e buone interpretazioni dei personaggi
Venerdì 14 giugno è la sera della prima di un’attesissima Madama Butterfly al Teatro Carlo Felice. Si tratta di un’edizione un po’ speciale, allestita dall’Astana Opera nel 2016. Per l’istituzione musicale della capitale del Kazakistan era la prima rappresentazione in assoluto dell’opera di Giacomo Puccini, da quando il teatro era stato inaugurato nel 2013. Per il regista Lorenzo Amato, figlio dell’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato (presente in platea), è stata un’occasione unica, che oggi rivive a Genova.
È interessante sapere che Madama Butterfly si ispira, all’origine, a fatti reali, di cui era stato informato – attraverso i ricordi di sua sorella Jennie Correll, che era stata in Giappone con il marito, un missionario metodista –, l’avvocato e scrittore statunitense John Luther Long. Questi, nel 1898, pubblicò a puntate “Madama Butterfly” sulla rivista Century Magazine, influenzato anche dal romanzo di Pierre Loti del 1887, “Madame Chrysanthème”, presentato come un diario autobiografico di un ufficiale navale, temporaneamente sposato a una donna giapponese a Nagasaki.
A sua volta, Long fornì il soggetto al drammaturgo americano David Belasco, che mise in scena la sua “Madama Butterfly”, musicata da William Fürst, nell’anno 1900, nella forma di one-act-play. Puccini vide l’opera a Londra e chiese a Casa Ricordi di acquisirne i diritti. La prima del compositore lucchese, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, si tenne al teatro della Scala di Milano il 17 febbraio 1904 e fu un insuccesso. La Butterfly che si rappresenta oggi è l’edizione rivista per l’Opéra comique di Parigi del 1906.
La dirige il maestro Giuseppe Acquaviva, esperto pucciniano, che riesce a interpretare al meglio una partitura intensa e difficile, ricca di motivi popolari di tradizione orientale (compreso l’inno imperiale, ma anche quello della Marina Americana), frutto delle ricerche musicologiche di Puccini presso una biblioteca parigina. Il tema dell’esotismo, in voga in quegli anni in Europa, fu trattato, dunque, non come maniera, ma dal vivo e trova corrispondenza, qui, nei costumi, assolutamente non kitsch, creati dal Premio Oscar Franca Squarciapino.
Questa versione della tragedia giapponese in tre atti, per quasi tre ore di spettacolo – compresi i 30 minuti dell’intervallo –, colpisce innanzitutto proprio per l’allestimento scenografico imponente, sebbene fin troppo monumentale se rapportato alla “casetta” originale, che si deve all’internazionalmente celebre Ezio Frigerio.
La struttura in cui si ambienta la scena, su una collina presso Nagasaki, in Giappone, è sospesa sull’acqua (vera), che incrementa l’effetto dell’impianto architettonico già sorprendente. La palafitta, adorna di alberi e fiori e aperta sul giardino nello sfondo, gioca anche un ruolo di cornice al teatro nel teatro.
Il rito iniziale, infatti, è una vera e propria rappresentazione concertata da Goro, il nakodo, cioè il mediatore matrimoniale ben interpretato dal tenore Didier Pieri. Per un compenso di “sol cento yen”, lui organizza incontri tra stranieri e donne locali e ha determinato così anche quello tra i due protagonisti della storia, predisponendo la loro unione “temporanea” (“Così mi sposo all’uso giapponese / per novecento-novanta-nove anni. / Salvo a prosciogliermi ogni mese”).
Nella “casa a soffietto”, come la definisce superficialmente F. B. Pinkerton, tenente della Marina degli U.S.A. in cerca di facili avventure, si svolge così il suo matrimonio con la bella e giovanissima Cio-Cio-San, una geisha chiamata Madama Butterfly.
Le dinamiche tra i personaggi sono opportunamente approfondite dalla regia, che coglie i mutamenti delle loro psicologie. Pinkerton entra in scena come un soldato spaccone (“Dovunque al mondo / lo Yankee vagabondo / si gode e traffica”), goffo (“Bello non è, / in verità”) e volgare, che non si pone alcun problema “se pure in frangerne dovessi l’ale” della “farfalletta” di cui si è invaghito. Lei ha soltanto quindici anni (“L’età dei giuochi…”, come sottolinea il prudente e saggio console americano Sharpless, interpretato dall’elegante e composto baritono Stefano Antonucci), anche se si sente “vecchia diggià”, perché consumata dalla vita che ha fatto “per sostentarci”.
Quando Pinkerton resta da solo con Butterfly, però, è capace di consolarla: sulla ragazza si è appena scagliata la maledizione dello zio Bonzo, interpretato dal basso John Paul Huckle, che ha scoperto come lei, per amore dello sposo, abbia rinnegato “il culto antico”. La coppia interpretata dal tenore rumeno Stefan Pop (“Bimba, bimba, non piangere /… / Bimba dagli occhi pieni di malìa”) e dal soprano Maria Teresa Leva (“Vogliatemi bene, / un ben piccolino”) riesce a toccare qui note di estrema dolcezza.
La notte stellata e le lanterne accese che galleggiano sull’acqua (“Tutto estatico d’amor / ride il ciel!”) allontanano i tristi presentimenti delle parole della giovane, che vuole credere nell’amore: “Dicon che oltre mare / se cade in man dell’uom, / ogni farfalla da uno spillo è trafitta”.
Nella seconda parte, il regista ha voluto inserire “più modernità possibile dei sentimenti”, come dichiara, raccontando la storia delle due donne sole, la servente Suzuki, interpretata dal mezzosoprano Raffaella Lupinacci, testimone e spettatrice impotente, e Butterfly, sprofondata ormai nel buio totale.
Sono passati tre anni (il pettirosso ha rifatto tre volte la nidiata); la ragazza ha abbandonato il kimono e con questo la sua identità; veste come una casalinga americana; “è povera in canna”, ma “con sicura fede” aspetta il ritorno del suo uomo. L’aria più famosa di quest’opera – “Un bel dì vedremo / levarsi un fil di fumo / sull’estremo confin del mare. / E poi la nave appare” – assume la valenza di un vero e proprio monologo interiore e di una predisposizione all’attesa che assume di per sé i caratteri del sacrificio (o dell’eroismo?).
L’acqua intorno alla casa è ora l’elemento che divide e che consuma la vita di Butterfly. Le sue speranze rinascono, quando avverte il colpo di cannone nel porto e vede con il cannocchiale la nave di Pinkerton. In scena, le immediate esortazioni entusiaste – “Tutto, tutto sia pien di fior” e “Seminiamo intorno april” – si manifestano in un tripudio di fiori di ciliegio lanciati in aria in una ritrovata luminosità dell’abitazione e del paesaggio. Nella sera e, poi, durante la lunga notte in cui Butterfly fissa immobile l’orizzonte, si svolge l’ampio pezzo musicale con il coro a bocca chiusa, diretto dal maestro Francesco Aliberti.
Nell’atto terzo, in cui compaiono sullo sfondo immagini visionarie di un’America da cartolina come a rappresentare un cortocircuito della mente della giovane, Pinkerton giunge all’alba, mentre lei dorme, accompagnato da Sharpless e dalla moglie Kate, interpretata dal mezzosoprano Marta Leung. Il dramma di Pinkerton, che in un istante coglie “un gel di morte”, si strugge dal rimorso, capisce il suo errore e fugge via disperato (“Addio fiorito asil, / di letizia e d’amor”), è efficacemente sottolineato sia dalla regia che dalla credibilità di Pop.
Anche la parabola umana di Butterfly (interpretata dalla Leva in saliendo, dall’inizio alla fine dell’opera) si compie subito dopo, nell’oscurità della camera. Raggiunta la consapevolezza del tradimento, rinuncia al suo bimbo – chiesto in affidamento da Kate stessa –, indossa un kimono sopra l’abito all’occidentale e uccide il personaggio ibrido che è diventato, compiendo con lo stesso coltello e “con onor” il medesimo gesto rituale di suo padre.
D’altra parte, già aveva detto: “Troppa luce è di fuor, / e troppa primavera”.
Linda Kaiser