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Mazzette? GdF conferma: no, tutto con Iban. Inclusi 55mila euro da Comitato a Toti

Governatore ligure Giovanni Toti (foto d'archivio)

Mazzette o valigette piene di soldi? No, tutto tramite Iban in modo trasparente. Altro che “fondi neri”. Dai 74mila euro che Aldo Spinelli avrebbe dato al Comitato elettorale di Toti nel 2020 ai 55mila euro che, con la causale “Contributo per attività politica”,  sarebbero passati da quel conto corrente a uno dei tre conti personali di Giovanni Toti, che l’uomo-partito asserisce di avere usato (anche quelli) esclusivamente per la sua attività politico-elettorale: “Ho tracciato tutte le spese, ciò che è entrato è stato speso per iniziative politiche, in tasca non mi sono messo nulla. Lo posso dimostrare, non ho mai interposto gli interessi privati a quelli pubblici”.

E’ quanto, in sintesi, avrebbero confermato gli stessi investigatori della Guardia di Finanza in riferimento a uno dei filoni del caso politico-giudiziario che ha investito la Liguria con gli arresti domiciliari, martedì 7 maggio, del presidente della giunta regionale in carica a un mese dalle elezioni europee e amministrative. Almeno, a ben vedere, così si evince da quanto riportato oggi anche dai quotidiani La Repubblica e Corriere della Sera.

Una conferma, indiretta, delle parole di Toti per il tramite del suo legale difensore Stefano Savi: “I finanziamenti elettorali sono sempre stati ricevuti e spesi in modo tracciato e trasparente. Mai usati quei soldi per scopi personali, ma soltanto per l’attività politica ed elettorale”.

Di più. Il travaso di fondi elettorali al conto corrente intestato personalmente a Giovanni Toti non sarebbe una novità. Infatti, sarebbe emerso che, a seguito di una precedente segnalazione della Banca d’Italia, l’uomo-partito aveva in sintesi già spiegato che aveva tre conti correnti: “Due per le spese personali e il terzo (quello dove sono stati riscontrati i fondi elettorali, ndr) dedicato esclusivamente alle spese per l’attività politica”.

Se i pm genovesi ipotizzano comunque “un’opacità” su quel trasferimento tracciato di soldi, avvenuto però alla luce del sole, l’uomo-partito ha sempre insistito che non erano stati usati per scopi personali: “Lo posso dimostrare”.

Al punto che, negli atti, gli stessi investigatori della Guardia di Finanza precisano che il conto, sul quale (a differenza degli altri due) era appunto delegata a operare la segretaria di Toti, viene “abitualmente utilizzato come conto politico” e che gli accertamenti bancari hanno verificato che “veniva solitamente utilizzato per sostenere spese correlate all’attività politica” del governatore ligure e del suo “entourage”.

Allo stato, gli stessi magistrati, per quanto riguarda Toti, parlano di “corruzione elettorale senza l’aggravante mafiosa”. Inoltre, di “falso” per la vicenda dei presunti falsi dati della popolazione ligure per ottenere più vaccini anti Covid: un’accusa, quest’ultima, di per sé non sufficiente a mantenere un indagato agli arresti (domiciliari) e che Toti ha comunque già respinto asserendo, nonostante le intercettazioni pubblicate sui giornali, che ha le carte in mano per dimostrarlo.

Una posizione diversa da quella del suo capo di gabinetto, agli arresti domiciliari per corruzione con l’aggravante mafiosa. E ancora del tutto diversa da quella dell’ex presidente dell’Autorità portuale e attuale amministratore (sospeso) di Iren Paolo Emilio Signorini, accusato di corruzione per avere ricevuto soldi da Aldo Spinelli per scopi personali, che difatti è l’unico dei 30 indagati della maxi inchiesta a essere stato arrestato e rinchiuso in carcere.

Non è tutto. Perché appare che il teorema accusatorio della Procura si sia infranto sul primo scoglio delle dichiarazioni agli atti dei testimoni già sentiti nei giorni scorsi. Tra gli altri, il superteste Giorgio Carozzi, giornalista in pensione del quotidiano Il Secolo XIX e membro del compitato portuale in rappresentanza del Comune di Genova, che ha infatti dichiarato di “non avere ricevuto pressioni” da nessuno e di avere votato a favore della concessione del Terminal Rinfuse ad Aldo Spinelli “in scienza e coscienza” spiegando, nei dettagli, le 5 considerazioni tecniche (peraltro non contestate dai pm) che lo avevano portato a quella decisione.

Appare quindi una strada in salita quella di dimostrare la “corrispettività” ipotizzata dalla pubblica accusa. Ossia, in sostanza, che Aldo Spinelli abbia finanziato (come aveva finanziato “tutti” incluso il Pd) la compagine politica di Toti in cambio, tra le altre cose, della concessione del Terminal Rinfuse nel Porto di Genova. Una concessione avvenuta, sostengono i difensori, in modo del tutto lecito, come sembra emergere anche dalle dichiarazioni rese dal superteste Carozzi.

In tal senso, poi, è attesa anche la testimonianza del sindaco Marco Bucci, che non vede l’ora di parlare agli inquirenti, al punto che nei giorni scorsi ha inviato una missiva in Procura chiedendo di rendere dichiarazioni e ricordando che è disponibile a rispondere a tutte le domande per chiarire i fatti e smentire “la montagna di falsità che sto leggendo sui giornali”.

In ogni caso, domani è il giorno dell’interrogatorio di Giovanni Toti, che dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere davanti alla gip Paola Faggioni perché, per difendersi, voleva prima valutare e approfondire le 9mila pagine agli atti, la scorsa settimana ha chiesto di parlare ai magistrati per chiarire tutto: “Non ho commesso reati e ho sempre agito nell’interesse pubblico”.

A questo punto, probabilmente, il legale difensore di Toti chiederà l’attenuazione della misura cautelare, visto e considerato che non sembrano sussistere le condizioni per gli arresti domiciliari (pericolo di fuga, inquinamento delle prove, reiterazione del reato).

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