Il 4 aprile è la giornata della press preview, VIP preview e vernissage su invito dell’edizione numero 24 del Miart. La fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, organizzata da Fiera Milano e diretta da Alessandro Rabottini, si è chiusa stasera, domenica 7 aprile, nel padiglione 3 di Fieramilanocity, in viale Scarampo.
Il pubblico degli specialisti e degli appassionati avrà sguazzato nel mare magnum dell’arte attuale, tra 185 gallerie internazionali provenienti da 18 paesi diversi, oltre all’Italia. Si è trattato di una full immersion nell’alta qualità, quest’anno davvero particolare, di una fiera che nel nostro paese non ha pari.
Nella mappa si notano diverse sezioni, evidenziate da colori. Vorrei ripercorrere alcuni highlights della mia visita, che ho svolto da sinistra verso destra e viceversa sui lati lunghi, seguendo, dunque, tre ampi corridoi paralleli. Dopo il caffè nel bar all’angolo, avevo previsto una prima tappa nella zona degli editori, da Johan & Levi (Monza) che, oltre ai bellissimi saggi interdisciplinari in catalogo, presenta un paio di anteprime meritevoli di attenzione.
Nello stand condiviso da C+N Canepaneri (Milano) e Corvi-Mora (Londra) sono appese le opere performative dell’artista inglese Roger Hiorns (1975), alimentate da piccoli compressori che creano masse di schiuma: queste si gonfiano e collassano costantemente. Con il solfato di rame sono fatti i quadri ricoperti di cristalli blu a parete.
Da Edel Assanti (Londra) colpisce il polacco Marcin Dudek (1979, vive e lavora a Bruxelles e Cracovia), con i suoi collage, anche di grande formato, costruiti con nastro adesivo medico e scene fotografiche (in vendita tra i 25.000 e i 3.500 £).
Kalfayan Galleries (Atene – Salonicco) presenta artisti super interessanti. Tra tutti, si possono considerare tre ateniesi: Antonis Donef (1978), che ricompone la conoscenza attraverso elaborati collage di pagine di enciclopedie e altri libri, veri e propri palinsesti di disegni, mappe e intricate calligrafie sovrapposte (opere quotate tra i 31.000 e i 6.800 €); Panos Tsagaris (1979, vive e lavora a New York), che presenta un’opera (“August 26, 2015”, 2016, in vendita a 13.000 €) della serie iniziata nel 2010 – subito dopo la crisi economica scoppiata in Grecia –, dei “Golden Newspaper”, riflessione socio-politica in contrasto con la ricchezza della foglia d’oro iconica spalmata da lui sui quotidiani, a evidenziare il dissidio tra reale e inconscio; Nina Papaconstantinou (1968), che indaga la complessità dei testi letterari e l’immaginario ingannevole, generato dal linguaggio stesso, attraverso densi strati di testo scritto a mano, vere tessiture che disintegrano la comunicazione (da “Sophokles, Antigone 2”, 2015 a opere con citazioni da Beckett, Flaubert e Gombrich, quotate tra i 9.000 e i 6.000 €).
Alla Soda Gallery (Bratislava) vengono proposti due artisti slovacchi, Lucia Tallová (1985) e Jaro Varga (1982), le cui opere si includono a vicenda. La prima crea una installazione sul tema dell’archivio con scaffali di legno occupati da collage, oggetti, dipinti, vecchie fotografie e album, nei quali racconta storie fittizie di persone anonime; il secondo, che lavora sulla “topografia associativa della scomparsa” e sulla “psicogeografia della memoria”, temi di grande attualità, si può definire un testimone della creazione e della distruzione, attraverso libri e librerie.
Nella storica galleria De’ Foscherari (Bologna) si può trovare l’opera concettuale di Eva Marisaldi (1966), “Polaroid”, 2001, serie di 12 incisioni su lastre di alluminio (in vendita a 8.000 €), dove il testo riportato su ogni lastra evoca un’esperienza visiva equivalente a quella trasmessa da una polaroid.
Gli appassionati del genere possono apprezzare l’opera di Marco Di Giovanni (1976), “Urantia”, 2019, matita e foglia oro su Moleskine, esposta alla galleria Revolver (Lima – Buenos Aires).
Il norvegese Per Barclay (1955), alla galleria Francesco Pantaleone (Palermo – Milano), invece, è sempre ammirevole per la sua opera fotografica, qui relativa all’installazione nel monumentale Palazzo Mazzarino allagato con l’olio (Palermo, 2018).
Così come colpisce davvero l’opera di grande formato (190 x 300 cm) di Francesco De Grandi (1968), “Porziuncola”, 2019, esposta alla Rizzuto Gallery (Palermo). L’olio su tela, in vendita a 30.500 €, rivisita il sacro attraverso la riattualizzazione di un episodio della storia di San Francesco, in cui il dipingere stesso assume per l’artista un valore ontologico di ricerca ed elevazione spirituale.
Si passa sotto l’opera intessuta di stelle (europee?) di Serena Vestrucci (1986) attraversando lo stand di Otto Zoo (Milano), mentre da Loom (Milano) si può vedere una scultura con matite e filo d’acciaio inox dell’artista francese Pierre-Etienne Morelle (1980, vive e lavora a Berlino), che ama esaminare le relazioni e le tensioni tra lo spazio e i corpi, realizzando dei leggeri solidi geometrici svuotati, che possono ricordare trattati rinascimentali.
Lo stand della galleria Mimmo Scognamiglio (Milano) è popolata di animali in ceramica di Joana Vasconcelos (1971, vive e lavora a Lisbona), avvolti dai centrini realizzati all’uncinetto dalle merlettaie portoghesi – dalla grande ape alla testa di cavallo (“Benigni”, 2017), dal granchio (“Aurélia”, 2014) alla rana, con la classica dicotomia tra cultura popolare e cultura erudita –, e da “Still life of flowers”, fiori scultorei, che l’artista americano Keith Edmier (1967) riprende dai dipinti seicenteschi.
Alla galleria Pack (Milano) è il protagonista stesso della mostra monografica, Simone Bergantini (1977), a spiegare il proprio lavoro, dalla più recente opera – un ostacolo dorato (“The golden path”, 2018-19), il cui assemblaggio modulare è un progetto open source – alle sequenze fotografiche. Interessanti sono i “Trophies”, 2017, con trofei decostruiti, ricomposti e incasellati, resi stereotipi, asettici, anonimi. Da considerare anche la serie precedente di ritratti (“American Standard Remix”, 2010), nata da ricerche d’archivio a New York, che hanno prodotto l’idea di forzare i contatti in un’intimità impossibile tra 10 coppie di persone.
Poco più avanti, la Repetto Gallery (Londra) espone opere storiche di Maria Lai (1919-2013), tra le quali vengono molto ammirate una fatta di filo, carta e stoffa del 1979 e una in juta e ferro del 1956-60.
Da Ca’ di Fra’ (Milano) si possono vedere la serigrafia su alluminio di Joseph Kosuth (1945) del 2003,”Mens agitat molem”, e una serie di “Lapidi” di Salvo (1947-2015).
Le opere di Urs Lüthi (1947), invece, imperano alla Otto Gallery (Bologna) e lui in persona si presta a un ritratto ambientato, accanto al “Selfportait as Kafka at the time he wrote his novel the Metamorphosis”, 2014.
Per il resto, si incontrano nel percorso opere interessanti dei classici, tra i quali Pino Pascali da Frittelli (Firenze) e allo Studio d’arte Campaiola (Roma); Igor Mitoraj, naturalmente alla galleria d’arte Contini (Venezia, Cortina d’Ampezzo, Mestre); Mario Ceroli (bellissimo “L’uomo e la sua ombra”, 1966) alla galleria Tonelli (Milano, Porto Cervo); Lucio Fontana, con ceramiche ambientate in una gigantografia, da Robilant+Voena (Londra, Milano, St. Moritz); Christo da Tega (Milano); Wolf Vostell e la sua serie “Calatayud”, 1973, composta da 30 lavori con lamina di piombo, fogli di riviste, matita e acquerelli, da Cardi (Milano), dove è presente anche un immancabile “specchio” di Michelangelo Pistoletto; Julian Schnabel, con i suoi oli su mappa, da Gian Enzo Sperone (Sent – New York).
Non passano inosservati il gigantesco “Igloo” di Mario Merz, esposto da Casoli De Luca (Roma) e la mostra monografica dell’artista americano Rob Pruitt (1964) da Massimo De Carlo (Milano, Londra, Hong Kong), un trionfo di sedie e cuori dorati, prediletti dai fanatici dei selfie.
Tra i top del Miart inserirei senza dubbio lo stand, anch’esso monografico, di Lelong & Co. (Parigi), che espone una straordinaria serie di opere del britannico David Hockney (1937): paesaggi americani e ritratti, oltre ad alcune foto.
Nella sezione “Generations” si possono cogliere accostamenti tra coppie diverse di artisti e galleristi. Genova è rappresentata qui dalla galleria Martini & Ronchetti, che al pittore Polys Peslikas, presentato da Vistamare – Vistamarestudio (Pescara – Milano), affianca in dialogo le sperimentazioni fotografiche dell’olandese César Domela (1900-1992), membro-chiave del gruppo De Stijl.
Prima di uscire, per rimettere le cose in equilibrio, ho potuto riflettere un attimo sull’opera del belga Hans Op de Beeck (1969), presentata dalla galleria Continua (San Gimignano, Pechino, Boissy le Châtel, L’Avana): il suo “Vanitas 14” del 2017, in gesso sintetico, è una natura morta solida, scolpita in grigio monocromo che, alludendo ai dipinti di epoche precedenti, rappresenta un attuale memento mori e, insieme, la natura transitoria dell’esistenza umana.
Linda Kaiser