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Misery: dal romanzo, al cinema, al teatro

Misery, 2019 – foto Alice Pavesi

Il capolavoro di King in scena al Duse per la regia di Filippo Dini

In scena al Teatro Duse di Genova dal 5 al 17 novembre, Misery, tratto dal romanzo di Stephen King e riscritto per il teatro da William Goldman, già sceneggiatore dell’omonimo film, è un’opera intrigante e molto significativa per un discorso sull’arte e la creatività. Questa versione italiana è stata prodotta dalla Fondazione Teatro Due di Parma (dove ha debuttato dal 26 ottobre al 3 novembre), dal Teatro Nazionale di Genova e dal Teatro Stabile di Torino.

Misery, 2019 – foto Alice Pavesi

Uno script straordinario restituisce il thriller dello scrittore incarcerato e sequestrato dalla sua “ammiratrice numero uno”, un’infermiera psicopatica, che soffre di un disturbo bipolare. In una casa isolata, lontana da tutto e spersa chissà dove, sulle montagne del Colorado, Paul Sheldon viene costretto a scrivere il romanzo che Annie Wilkes vorrebbe, cioè il seguito delle storie precedenti con la sua eroina, Misery Chastain.

La situazione “si può anche interpretare come il confronto di un artista con il demone della sua ispirazione, il demone della fama, forse”, sottolinea Filippo Dini che, oltre a firmare la regia, interpreta in maniera tesa il ruolo del protagonista, anche tra rocamboleschi movimenti in carrozzella.

Misery, 2019 – foto Alice Pavesi

Il fascino di Misery sta proprio nella sua claustrofobica realtà. Misery è qualcosa che abbiamo anche dentro di noi: “è quella parte che ci costringe, ci incatena, ci chiude nella stanza e ci obbliga a un atto creativo”, come dichiara la convincente Arianna Scommegna, che interpreta la protagonista femminile.

Misery è pure un lavoro sulla follia, sulle variazioni emotive di Annie e sulle reazioni di Paul, lungo un filo sottile che separa l’ossessione dal mistero. “Misery non deve morire”, come scandisce il titolo in italiano del film horror psicologico uscito nel 1990 negli Stati Uniti: questo personaggio immaginario viene riesumato a forza dalla tomba per diventare la terza presenza in scena, in un triangolo virtuale di amore e odio.

Persino l’ammirevole scenografia teatrale, ideata da Laura Benzi e “asciugata” fino all’essenzialità rispetto a quella, più domestica, rappresentata nel film, sembra mettere in rilievo, nei geniali spaccati dell’impianto della casa, la spigolosità triangolare della stanza-trappola in cui si svolge la storia.

Misery, 2019 – foto Alice Pavesi

Encomiabili sono pure le luci di Pasquale Mari, che rendono di volta in volta affilato, plumbeo, notturno, azzurrato e assolutamente “atmosferico” l’ambiente.

D’altra parte, tutto ha inizio nella nebbia, nei contorni sbiaditi di un incidente avvenuto durante una tempesta di neve. Se la ripresa dei sensi da uno stato comatoso porta lo scrittore alla dipendenza dalla sua salvatrice, ben presto tutto prende forma e si delinea, come nel peggiore degli incubi, spingendolo verso l’annullamento e il confronto con se stesso, in definitiva verso la morte.

Stephen King ricorda, nel suo On Writing: A Memoir of the Craft, 2000 (versione italiana: On Writing: Autobiografia di un mestiere), che “se scrivi (o dipingi, o balli, o scolpisci, probabilmente non esiste molta differenza), ci sarà sempre qualcuno che proverà a rovinarti la festa”.

Comunque, lui racconta che la sua prima idea per Misery, romanzo pubblicato nel 1987, nasce da un sogno che fece in aereo, viaggiando nei primi anni Ottanta verso Londra: “uno spunto per un’ottima storia, divertente, ironica e terrorizzante”. King definisce un “fossile” la trama, dalla quale “estrarre” e portare alla luce tutti i particolari e gli episodi, che richiesero una lunga elaborazione, ma che ben si prestarono a “un discorso sul potere salvifico della scrittura”.

Misery, 2019 – foto Alice Pavesi

I tratti di Misery che fanno sorridere non sono pochi, dall’inquietante dettaglio della scrofa che la protagonista aveva chiamato come la sua eroina, al fatto che Annie prova orrore per le parolacce e gli insulti, ma non si fa scrupoli a tranciare un piede al suo autore preferito, perché aveva cercato di squagliarsela.

King ammette che Paul Sheldon è in parte la sua incarnazione, sebbene lui, all’epoca, non avesse ancora subito l’incidente terribile che, dodici anni dopo la pubblicazione di questo romanzo, lo portò paradossalmente a giacere proprio con la gamba destra fratturata, le costole spezzate e la colonna vertebrale lesionata.

Per tornare alla rappresentazione teatrale in oggetto, che dura due ore e mezza, compreso l’intervallo, occorre rilevare che, a mio parere, non sfigura neppure nel confronto con il film di Rob Reiner, che ebbe un grandissimo successo.

Misery, 2019 – foto Alice Pavesi

In quel cast i protagonisti erano James Caan e Kathy Bates, che vinse sia l’Oscar che il Golden Globe. Lo sceriffo, che nella versione cinematografica era impersonato da Richard Farnsworth e lavorava in coppia con la moglie (Frances Sternhagen), qui è il solo rappresentante della legge ed è interpretato da Carlo Orlando, anche assistente alla regia. Questa figura è l’unico richiamo concreto alla realtà esterna ed è ben caratterizzata come tale.

La parabola di Misery, alla fine, risulta perfetta e compiuta nella sua messinscena. Paul scopre il passato di Annie che, dopo la metamorfosi da lettrice a critica, ora da persona diventa anche personaggio. Il finale a sorpresa celebra un topos letterario e l’esemplare magia della narrazione.

Linda Kaiser