Non è difficile osservare, sotto la consueta egida dell’apparenza, il perseguimento di un’estetica ordinaria, pur tendenzialmente ribelle. Inclinata in un ideale di “vita spericolata”, alla Vasco Rossi.
Un’estetica che, in nome di un obbligato ed inesausto trend opulentistico, implica la negazione di una quiete che induce a considerare il tempo in termini squisitamente abitudinari e conformi.
Questo atto di ribellione al sistema, estemporaneo e desiderante, esorcizza la noia, paradigma dell’ordinaria condizione civica, e ne costituisce rimedio, costantemente rinnovellandosi nel voler stupire, più che nel volersi stupire: nel tentativo di rintracciare valore ed intensità in un’esistenza volitivamente ed anarchicamente esonerata da regole e vincoli, da improvvisare momento per momento.
Tale anelito pare costituire strenua opposizione alla temerata routine, pur riconoscendosi, in ultimo, facile preda di un modello “familiare”, che, in un certo fatidico istante, riprende giocoforza ad esercitare una mai sopita e bisognosa se-duzione.
Alla resa dei conti, tale è la “se-duzione della trappola”, identificabile metaforicamente nell’idea stilizzata della “coppia”, quale condizione più congeniale ed accreditata.
Così, in forza di una scongiurata tranquillità, certi rischi tendono per natura ad abiurare l’iniziale ed accattivante ideale di autonomia, riconvertendosi al sollievo di una sempre vigorosa tradizione.
Vero è che la scelta della “famiglia”, come soluzione ultimativa, compie un deciso scarto dall’idea anarco-autonomistica verso dinamiche affettive più rassicuranti.
Tale diversione dal crisma della libertà, con la ripresa dell’atavico solco, esprime una volontà domestica, più spendibile in una società che, anche ammettendo una quota di stravaganza e ribellione, in realtà la de-limita entro una cornice temporalmente e razionalmente predefinita, sulla falsariga della storia dei “Quattro amici al bar” di Gino Paoli.
Massimiliano Barbin Bertorelli