Negli ultimi 70 anni mai il Po così a secco, a rischio biodiversità, agricoltura, laghi e produzione di energia
Negli ultimi 70 anni mai il Po così a secco, a rischio biodiversità. Niente neve sulle Alpi, il Lago Maggiore è ai minimi storici del periodo, il Po è colpito da una siccità gravissima mentre in alcune regioni del sud le reti idriche portano ad una dispersione d’acqua del 60% o 70%. Il 17 di giugno non siamo ancora in piena estate, secondo il calendario delle stagioni, ma già soffriamo uno dei livelli di siccità più alti mai registrati.
Nella Giornata Mondiale contro la desertificazione e la siccità, il WWF solleva l’allarme: l’Italia e il Mediterraneo sono una delle aree nel mondo più sensibili alle variazioni climatiche, un hotspot a livello mondiale.
È estremamente urgente abbattere le emissioni di gas serra, abbandonando una volta per tutte i combustibili fossili, e rivedere tutte le concessioni idriche (agricole, industriali, civili) riducendole in funzione delle effettive disponibilità d’acqua. Quando non è gestita e prevista adeguatamente, la siccità è uno dei motori della desertificazione e del degrado del territorio, nonché una tra le cause di aumento di fragilità degli ecosistemi e di instabilità sociale.
La dimensione degli impatti connessi alla siccità dipende anche dalla vulnerabilità dei settori più esposti, tra cui l’agricoltura, la produzione di energia (non solo quella idroelettrica, ma anche le centrali termoelettriche che usano l’acqua dolce) l’industria, l’approvvigionamento idrico per le abitazioni, gli ecosistemi.
La gravissima siccità che ha colpito il Po e gran parte dei fiumi italiani è la peggiore degli ultimi 70 anni ed è ancor più grave per essersi manifestata in anticipo, fin dalla fine dell’inverno, rispetto ad altri analoghi eventi straordinari degli ultimi 20 anni (2003, 2006, per esempio) che si sono verificati verso giugno e luglio. Ci aspettano mesi ancora più critici per l’agricoltura, per la biodiversità, per i laghi, per la produzione di energia elettrica.
Le temperature medie fino a due gradi più alte della media stagionale e la pressoché scomparsa di precipitazioni in tutta Italia, provoca fenomeni come la sparizione della neve sulle Alpi in Piemonte e Lombardia, nei laghi, a cominciare dal Lago Maggiore, siamo ai minimi storici del periodo, si salva un po’ solo il Lago di Garda.
C’è un significativo e generale decremento del volume annuale che defluisce a mare dai nostri principali fiumi (Po, Adige, Arno, Tevere), caratterizzato da riduzioni pari a 15% per il Tevere e di oltre l’11% per il Po nel periodo 2001-2019 rispetto al precedente periodo 1971-2000.
La crisi climatica, l’aumento dei consumi d’acqua, caratterizzati anche da notevoli sprechi (basti pensare alle perdite delle rete idriche di distribuzione che in alcuni casi arrivano a oltre il 50%) o da utilizzi certamente non prioritari dell’acqua – consumiamo parecchi milioni di metri cubi l’anno d’acqua solo per garantire la neve artificiale fino a maggio per gli appassionati di sci- obbligano a rivedere i nostri usi e consumi di questa risorsa indispensabile per la nostra vita e la vita sulla terra.
La prolungata siccità di quest’anno ha provocato e sta provocando danni alla biodiversità, soprattutto a tutti quegli organismi legati alle acque interne: il prosciugamento di molte piccole e grandi zone umide, tra marzo e maggio, ha impedito o ridotto drasticamente la riproduzione di molte specie di anfibi, alcune delle quali in uno stato di conservazione già critico come il Pelobate fosco insubrico, la Rana di lataste o il Tritone crestato italiano.
Ci sono state morie di pesci in tratti fluviali e zone umide rimaste completamente a secco; inoltre l’asciutta di molti ecosistemi sta mettendo ancora di più in crisi molte specie autoctone favorendo l’ulteriore diffusione di specie alloctone: è il caso delle “cozze d’acqua dolce” (generi Unio, Anodonta, Microcondylea), poco conosciute ma molto diffuse, almeno fino a un recente passato, nelle nostre acque interne, che si stanno rarefacendo sempre più a causa del degrado ambientale e della loro condizione di “filtratori” – sono il gruppo faunistico in assoluto più a rischio – a scapito di alcune specie aliene come la grande cozza asiatica, Sinanodonta woodiana che riesce a sopravvivere per lunghi periodi di asciutta dei corpi idrici senza particolari problemi.
L’acqua è il vero convitato di pietra della crisi climatica. Se la siccità rischia di diventare una piaga costante in Europa Meridionale, in particolare nei Paesi del Mediterraneo, nel mondo la preoccupazione per questo fenomeno è altrettanto alta.
La Convenzione
Assieme a quelle sul clima e la biodiversità, nel 1992 l’ONU ha varato la Convenzione per Combattere la Desertificazione (UNCCD) per affrontare la desertificazione e gli effetti della siccità, sottoscritta da 197 Paesi. Proprio la UNCCD ha indetto la Giornata Mondiale contro la desertificazione e la siccità per il 17 giugno 2022. L’evento centrale avrà luogo a Madrid, in Spagna, Paese peraltro in preda a una feroce ondata di calore, con temperature che in qualche caso hanno superato, in questi giorni, i 50 gradi.
Le temperature più elevate in genere intensificano il ciclo idrologico globale. Circa 4 miliardi di persone (su 7,8 miliardi di esseri umani sulla Terra) sperimentano già una grave carenza d’acqua per almeno un mese all’anno. Sempre più persone (circa 700 milioni) soffrono periodi di siccità più lunghi che periodi di siccità più brevi rispetto al 1950. La popolazione globale esposta a siccità estrema ed-eccezionale aumenterà dal 3% all’8% nel 21° secolo. Negli ultimi due decenni, il tasso globale di perdita di massa dei ghiacciai ha superato 0,5 metri di acqua equivalente per anno, con un impatto sugli esseri umani e sugli ecosistemi. Il cambiamento climatico antropogenico ha contribuito ad aumentare la probabilità e la gravità dell’impatto della siccità (specialmente siccità agricola e idrologica) in molte regioni.
A livello globale, tra il 1983 e il 2009, circa tre quarti delle aree coltivate globali (~454 milioni di ettari) hanno subito perdite di rendimento indotte dalla siccità meteorologica, con perdite di produzione cumulative corrispondenti a 166 miliardi di dollari. Anche l’attuale produzione globale termoelettrica e idroelettrica è influenzata negativamente dalla siccità, con una riduzione dal 4 al 5% dei tassi di utilizzo delle istallazioni durante gli anni di siccità rispetto ai valori medi a lungo termine dagli anni ‘80.
Il cambiamento climatico e i cambiamenti nell’uso del suolo e l’inquinamento delle acque sono i fattori chiave della perdita e del degrado degli ecosistemi d’acqua dolce.
Si prevede che i futuri impatti dei cambiamenti climatici su vari settori dell’economia legati all’acqua ridurranno il prodotto interno lordo (PIL) globale, con perdite maggiori previste nei paesi a basso e medio reddito. I rischi di siccità e inondazioni e i danni sociali aumenteranno con l’aumentare del riscaldamento globale.
Secondo il rapporto State of the Global Climate in 2021, pubblicato il 18 maggio di ques’anno dall’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), la siccità ha colpito molte parti del mondo negli ultimi sette anni (i più caldi mai registrati), tra cui il Corno d’Africa, il Canada, gli Stati Uniti occidentali, l’Iran, l’Afghanistan, il Pakistan e la Turchia. In Sud America, la siccità ha causato ingenti perdite agricole e ha interrotto la produzione di energia e il trasporto fluviale.
Negli ultimi anni, l’Europa meridionale è diventata fino al 20% più secca. Secondo il rapporto del WG2 dell’IPCC, uscito nel febbraio scorso, nell’Europa meridionale, in caso di un aumento della temperatura globale di 1,5°C e 2°C la scarsità idrica riguarderebbe, rispettivamente, il 18% e il 54% della popolazione.
Anche l’aridità del suolo aumenta con l’aumentare del riscaldamento globale: con un aumento della temperatura di 3°C l’aridità del suolo risulta del 40% superiore rispetto a uno scenario con innalzamento della temperatura a 1,5°C. Dai dati generali e ancor di più da quelli riguardanti il Mediterraneo, emerge l’urgenza di serie ed efficaci politiche di adattamento che vadano di pari passo con quelle tese ad abbattere le emissioni e, quindi, evitare gli scenari peggiori. Tuttavia, in presenza di elevati livelli di riscaldamento, misure di risparmio idrico e di efficienza potrebbero non essere sufficienti per contrastare la ridotta disponibilità della risorsa.
Cosa fare
La prima cosa da fare è adoperarsi davvero per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, come previsto dall’Accordo di Parigi, vale a dire abbattere le emissioni di gas serra, a partire dal CO2 e metano, abbandonando i combustibili fossili e puntando su fonti rinnovabili, risparmio/efficienza energetica e decarbonizzazione in tutti settori.
Un contributo molto significativo, sia per la mitigazione che per l’adattamento, verrà dalle soluzioni basate sulla natura (Nature Based Solutions, NBS), attraverso la protezione, il ripristino e la gestione sostenibile dei serbatoi naturali di carbonio. Inoltre è indispensabile riaffermare la pianificazione a livello di bacino idrografico con il coordinamento di un soggetto unico, l’ Autorità di bacino distrettuale, in grado di definire le priorità a scala di bacino e ridefinire i fabbisogni in base a un aggiornato e reale bilancio idrico; per questo è necessario rivedere tutte le concessioni idriche (agricole, industriali, civili) riducendole in funzione delle effettive disponibilità d’acqua, di un più efficiente utilizzo (già possibile in diversi settori) garantendo anche il vitale deflusso ecologico nei corsi d’acqua, fondamentale per garantire a lungo termine l’uso plurimo della risorsa attraverso, la ricarica delle falde e un generale riequilibrio del ciclo idrologico.
Infine è indispensabile ridurre gli sprechi (a cominciare da un’efficiente manutenzione della rete di distribuzione) ed eliminare consumi d’acqua ormai anacronistici, soprattutto di fronte a questi fenomeni sempre più estremi dovuti alla crisi climatica, come l’uso dell’acqua per l’innevamento artificiale: adattarsi significa anche adeguare i nostri stili di vita alla nuova situazione climatica