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Obey Fidelity, la mostra al Palazzo Ducale di Genova che sta per chiudere

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Shepard Fairey nel documentario di Banksy, 2010 (foto Linda Kaiser)

Un progetto politico per la street art

Shepard Fairey, in arte Obey, è nato nel 1970 a Charleston, nella Carolina del Sud; si è laureato alla Rhode Island School of Design di Providence (RI, USA) nel 1992, vive e lavora a Los Angeles.

La sua appartenenza naturale alla Street Art diviene da subito un progetto politico, che si avvale di pezzi di carta e messaggi scritti. La mostra intitolata Obey Fidelity. The art of Shepard Fairey, aperta questa estate al Palazzo Ducale di Genova e in chiusura il 1° novembre, propone un iter molto interessante tra le sue opere e la sua filosofia.

Stefano Antonelli, uno dei due curatori (l’altro è Gianluca Marziani), identifica i precedenti delle modalità di questo artista addirittura nei manifesti – i cosiddetti placards – del calvinismo del XVI secolo. Obey, in questo senso, vuole parlare a tutti, mentre nei musei non raggiungerebbe l’audience comune. Dato che soltanto la pubblicità è generalista, Obey affigge, dunque, manifesti per strada, ma lo fa in maniera non regolata.

Nelle pieghe del sistema

Nel 2008 proprio un suo manifesto, Obama Hope, con la sua immagine potente e il suo messaggio condensato, diventa la copertina del New York Times, senza nemmeno essere sostenuto dal comitato elettorale del futuro presidente, che gli aveva richiesto l’endorsement. Obama, poi, lo ringrazierà con una lettera personale – anch’essa esposta in mostra – per il sostegno creativo offerto alla sua campagna elettorale.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Obama Hope, 2008 (foto Linda Kaiser)

Obey crea qui una vera e propria icona, come Andy Warhol, con uno stile preciso e riconoscibile, con i colori rosso, bianco e blu della bandiera nazionale che scompone e ricompone, ottenendo, a giudizio di Peter Schjeldahl, critico d’arte del New Yorker, “la più efficace illustrazione politica americana dai tempi dello Zio Sam”.

L’artista si ispira allo stile russo sovietico della propaganda e lo afferma proprio nella sede del capitalismo. La sua contestazione non è antisistema, ma dentro il sistema, perché celebra il potere nelle sue regole, contro una democrazia distorta, esaltando la stessa Costituzione americana.

Come negli anni ’20 c’era la radio, oggi c’è il social network e Obey usa questo mezzo di propaganda ponendolo al servizio della verità, affrontando, in particolare, quattro temi attuali, al centro del viaggio visivo della mostra: il ruolo della donna, la pace, l’ambiente e la cultura.

I simboli che utilizza sono quelli del messaggio pubblicitario, come nelle opere che si incontrano nella prima grande sala del Sottoporticato. Defend Equality.

Love Unites (2009) è basata sugli stessi principi sia della Rivoluzione francese che di quella americana. In Obey with caution! (2017) vengono manifestate ironia – i teschi nascosti, la parodia degli slogan – e consapevolezza di fronte all’elezione di Donald Trump. Si tratta di comunicazione persuasiva, che però sottolinea lo spirito critico, attraverso la raccomandazione di ubbidire, ma “con cautela”.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Obey with Caution, 2017

Obey è anche il suo marchio di fabbrica, perché Shepard lo usa con l’immagine di André the Giant, stilizzazione grafica del volto di un wrestler francese gigantesco, André René Roussimoff (1946-1993), che assunse questo ring name in grazia della sua altezza di 2,24 m. L’artista lo rende anonimo, utilizzandolo sugli sticker già all’inizio della sua carriera artistica nel 1989, quando era ancora studente di Design, e con l’aggiunta della scritta “segnalizza” tutti gli Stati Uniti. Lo fa, si può dire, secondo forme tipiche della società contemporanea, che si possono ricondurre a una volontà di opporsi a quella produzione controllata e selezionata, per poterla padroneggiare, di cui parla Michel Foucault ne L’ordine del discorso.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – The Giant (foto Linda Kaiser)

Obey e / è il suo brand

Obey è, poi, un marchio di abbigliamento, un brand molto conosciuto, che parte da una base etica, ma evidenzia delle contraddizioni, dato che le magliette sono prodotte in Bangladesh. Ci sono opere in questa mostra che sono state prestate proprio da ragazzi in risonanza con lui, gli stessi che comprano le sue T-shirt o le sue felpe.

Iscrivendosi alla sua Newsletter – io l’ho fatto – si riceve ogni due settimane circa un annuncio di release sul suo sito di serigrafie di arte, tirate ad esempio a 500 esemplari per $ 75, in vendita a partire da una determinata ora di un determinato giorno, consentendo un ordine per persona. Inutile dire che vanno subito esaurite, magari per essere rivendute dopo pochi giorni su eBay a prezzo maggiorato.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Valor & Grace Nurse, 2020 (foto Linda Kaiser)

Nell’esposizione non poteva mancare la serigrafia recente Valor & Grace Nurse: creata per omaggiare gli operatori sanitari, riprende l’arte retorica, l’estetica del pensiero affermativo, l’impaginazione del Costruttivismo russo e modalità da computer e fotocopiatrice che richiamano gli scritti di Walter Benjamin sulla diffusione della comunicazione orizzontale. L’opera viene donata per la raccolta fondi per realizzare murales vicino agli ospedali più colpiti dal Covid-19.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Santa Margherita, 2009 (foto Linda Kaiser)

Divenuta virale, la litografia Liberté, Egalité, Fraternité (2018), con al centro il simbolo della Marianne circondata dalle parole del motto nazionale, rende omaggio alle vittime degli attentati terroristici avvenuti a Parigi nel 2015. Una sua versione a stampa è stata donata da Shepard a Emmanuel Macron ed è comparsa alle spalle del presidente francese nel suo ufficio al Palais de l’Elysée. Colpisce sicuramente, poi, il grande pannello del 2009, Obey Santa Margherita, realizzato a Venezia nel Campo omonimo, con la fissione su legno della carta, di cui sono visibili le pieghe: qui si legge una sorta di compendio delle idee dell’artista, attraverso il grande simbolo della pace sul pattern di un mandala orientale, a sua volta sovrapposto alla ripetizione seriale di altri simboli, come André the Giant, Angela Davis, Rose Soldier e l’occhio orwelliano.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Rose Soldier, 2006, dettaglio (foto Linda Kaiser)

Ritratti ed iconografia diffusa

Si può apprezzare per la tecnica il pezzo unico Rose Soldier del 2006, del valore di 80.000 euro, realizzato con carta serigrafata incollata. Questo progetto di iconografizzazione è addirittura condiviso sul web, dal quale si può scaricare un’app che ci ritrae con gli stessi sfondi creati da Obey. L’origine delle sue opere, d’altra parte, è la fotografia. Shepard naviga on line e sceglie un’immagine che lo ispira, un po’ come fa Julian Opie, o scatta foto con lo smartphone.

Sulle pareti della sala campeggiano, poi, le bellissime serie di ritratti femminili: Peace, sulle donne e le minoranze – Revolution Woman, Zapatista Woman, Muslim Woman, 2009 –, che rimarca il ruolo dell’arte pubblica come espressione di una missione sociale; We the Future, con giovani leader che si battono per grandi temi (Rise to Rewrite the Law, 2018 raffigura Amanda Nguyen, attivista per i diritti civili) e We the People, il cui titolo riprende l’inizio della Costituzione americana.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – We the Future, 2018 (foto Linda Kaiser)

Si tratta di una crasi concettuale, in cui l’immagine di nativi americani, afroamericani, latini e musulmani è sempre seduttiva – con sottotitoli come Defend Dignity, Protect Each Other, Are Greater Than Fear, 2017 – e la verità dell’arte si è trasformata nella pubblicità dell’arte (si può rimarcare qui la differenza tra advertising e publicity).

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Obey Marittima, 2009 (foto Linda Kaiser)

Il simbolo della vittoria di Winston Churchill in Obey Marittima (2009) è riprodotto su un grande pannello in fondo al salone. Infine, sono da citare due opere come Embrace Justice (2018), per il confronto che si può fare con la tecnica a collage di Rauschenberg, Rotella e Villeglé, e War by Numbers (2008), con la bimba in stile Banksy che tiene in mano una bomba e un fiore.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – War by Numbers, 2008 (foto Linda Kaiser)

Obey e le quattro potenze

Nella seconda sala sono enunciati i principi, le potenze, seguendo le quali Obey afferma la sua semiotica dell’immagine, facendola diventare una scienza nelle sue decine di migliaia di opere. Si può riflettere sul fatto che power, in inglese, significhi “potere”, ma anche “potenza” nel senso nietzschiano di “volontà di potenza”.

Sono messi a fuoco, dunque, il Female Power, in cui la donna è “il centro tolemaico del mondo”, sole irradiante dell’esistenza; l’Environment Power, relativo ad ambiente e nuova ecologia; il Peace Power, di cui purtroppo si parla poco, con la consapevolezza etica che ne deriva; il Cultural Power, l’ormai iper retorico sistema culturale.

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Print and Destroy, 2019 (foto Linda Kaiser)

Qui sono concentrate opere come Fossil Factory (2017), Green Power (2014) e Print and Destroy (2019), che rivisitano gli spazi del lavoro. In quest’ultima opera, una litografia offset a marchio “Obey Propaganda Printing Services”, si legge l’ideologia del “think & create, print & destroy”. La serigrafia del 2019 Bad Reputation (Black) è orientata allo stile del Bauhaus, mentre studi di pattern superano la vertigine del foglio bianco, incarnando perfettamente il principio di ripetizione, come nelle diverse versioni di Floral Harmony (2020).

Palazzo Ducale, Genova – Obey Fidelity – Angela Davis, 2009 (foto Linda Kaiser)

La terza sala ospita le due serigrafie monocolore Damaged del 2017, e le iconiche opere consacrate ad Angela Davis (2009) e al Panther Power (2007). Questa figura, protagonista del movimento afroamericano degli anni ’70, è uno dei soggetti preferiti di Shepard come simbolo del femminismo e delle lotte per l’uguaglianza razziale. Banksy dedica a Obey una parte del suo documentario del 2010, Exit Through the Gift Shop. Nelle scene che si possono vedere in mostra lo si coglie alla ricerca di spotting, di posti urbani in cui collocare le sue opere per la visibilità maggiore possibile. L’artista gira insieme a un operatore, che documenta anche le sue fughe o i suoi diversi arresti.

La manifattura del dissenso

L’ultima sala, che completa un percorso espositivo così ricco di stimoli, raccoglie le realizzazioni di Shepard come appassionato di musica. Le serigrafie SSI Sonic Solutions Incorporated (2008) e le Album Cover (2011) curano la differenziazione nell’omologazione, seguendo uno stile Art déco.

Obey, che viene dalla cultura dello skateboard, si dimostra artista novecentesco e attuale a pieno titolo, con richiami all’ideologia orwelliana. Sul suo sito si legge il Manifesto, intitolato Manufacturing quality dissent since 1989: la sua “manifattura del dissenso” viene spiegata come un esperimento di fenomenologia, che cerca di “permettere alle persone di vedere chiaramente qualcosa che è proprio sotto ai loro occhi, ma oscurato”.

I muri delle città sono il supporto per i segni di Shepard e, insieme, diventano una lezione di educazione visuale e di estetica amplificata dal network. “L’adesivo Obey”, in definitiva, “cerca di stimolare la curiosità e di portare le persone a mettere in discussione sia l’adesivo che il loro rapporto con l’ambiente circostante”, scrive. Nella sua arte urbana di alto livello grafico e di forte impatto politico il contenuto è la forma e lui dà contenuto alla forma. Il migliore. Linda Kaiser

Obey Fidelity. The art of Shepard Fairey a cura di Gianluca Marziani e Stefano Antonelli. Genova: 4 luglio – 1° novembre 2020.

Sottoporticato di Palazzo Ducale di Piazza Matteotti 9 – 16123 Genova. Tel. 010 8171600

La mostra è aperta da martedì a domenica, ore 10.00-19.00, lunedì chiuso, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso a pagamento

Internet: www.palazzoducale.genova.it