La procura di Genova nei giorni scorsi ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta per diffamazione ai danni di Karima el Mahroug, conosciuta anche come Ruby Rubacuori, che vedeva indagate 178 “haters” ossia “odiatori del web” che spesso si nascondono dietro un “nickname”.
Secondo i pm, sarebbe impossibile risalire “con matematica certezza” alle persone reali che sui social network, in particolare Facebook, hanno offeso la giovane marocchina e commentato pesantemente il video in cui l’allora 17enne si esibiva nel locale del suo ex marito Luca Risso, a Genova.
Infatti, l’azienda di Zuckerberg come le altre che in casi come questo sono equiparate ai mass media, seguono la legislazione degli USA, dove la stragrande maggioranza degli Stati non prevede la diffamazione a mezzo stampa come reato penale, ma solo come illecito civile (peraltro con pesanti sanzioni).
Infatti, le leggi contro la diffamazione a mezzo stampa sono moderate dal Primo emendamento della Costituzione USA, che tutela la libertà di espressione, critica e opinione, voluto espressamente per proteggere la libertà di stampa.
Pertanto, Facebook e le altre aziende per le indagini penali sul reato di diffamazione (inesistente negli USA) in genere non forniscono i cosiddetti “file log” e le altre informazioni da cui attingere nomi e cognomi degli “haters” che così non possono essere identificati con certezza “matematica”.
Per quella esibizione, in stile fetish, il genovese era stato condannato in appello a sei mesi con la sospensione condizionale.
Parte del video era stato trasmesso anche dalla trasmissione di Michele Santoro sostanzialmente per attaccare politicamente Silvio Berlusconi e uno spezzone di quella puntata sarebbe finita in rete corredata da insulti e improperi nei confronti di Ruby.
La polizia giudiziaria aveva anche sentito come persona informata dei fatti lo stesso giornalista.
Ruby Rubacuori, balzata agli onori delle cronache per le serate passate ad Arcore e che fu usata dai media per dare il nome alle tre inchieste sul leader di Forza Italia, aveva deciso di presentare un esposto in procura a Genova per interrompere lo stillicidio di diffamazioni in suo danno.