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Omicidio Nada Cella: dopo 27 anni accusata Annalucia Cecere

Omicidio Nada Cella, dopo 25 anni una nuova indagine
Nada Cella (foto di repertorio fb)

Clamorosa svolta delle indagini sull’omicidio della 24enne Nada Cella, avvenuto il 6 maggio 1996 a Chiavari. Un “cold case” rimasto irrisolto per 27 anni.

La giovane segretaria, secondo la Procura di Genova, sarebbe stata ammazzata per “rancore e gelosia” da Annalucia Cecere che voleva il suo posto di lavoro e le attenzioni amorose del commercialista chiavarese Marco Soracco.

Il professionista, sempre secondo l’accusa, avrebbe sempre saputo che a uccidere Nada sarebbe stata l’altra giovane “avendola sorpresa sul luogo del delitto” e avrebbe mentito agli investigatori insieme all’anziana madre, Marisa Bacchioni.

Dopo due anni di ulteriori indagini la pm Gabriella Dotto ieri ha chiuso le indagini sul “cold case” durato 27anni.

Annalucia Cecere è accusata di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. Soracco e la madre Marisa Bacchioni devono invece rispondere di false dichiarazioni al pm e favoreggiamento.

Il caso era stato riaperto grazie alla criminologa Antonella Pesce Delfino e all’avvocata della famiglia Cella, Sabrina Franzone.

Soracco e sua madre, sostengono gli inquirenti, avrebbero mentito più volte. Avrebbero detto che quella mattina il commercialista era sceso in studio solo qualche minuto dopo le 9.10 ma risulterebbe “invece provato il suo accesso in studio prima delle 9”.

Il commercialista chiavarese avrebbe poi mentito dicendo di non conoscere Cecere dichiarando “di non aver avuto alcuna relazione, ma solo una occasionale frequentazione, e che la donna non era mai andata in studio, eccetto che in una sola occasione (qualche giorno prima dell’omicidio, ndr) in cui l’aveva ricevuta la segretaria Nada Cella”.

Il presunto castello di bugie, secondo gli investigatori, riguarderebbe anche la telefonata di un’amica “ricevuta lo stesso giorno dell’omicidio (con la richiesta di intercedere per il posto di lavoro di Nada) e in merito alla telefonata ricevuta personalmente il giorno in cui la stessa Cecere subì una perquisizione (disse quest’ultima a Soracco “non sono mai stata innamorata, anzi mi fai schifo”), ometteva di fornire informazioni utili”.

E poi, sempre secondo l’accusa, dichiarava “di non essersi accorto di quanto accaduto alla segretaria e di aver inizialmente pensato ad un malore o a un urto accidentale su qualche spigolo (pur avendo in realtà ritenuto che fosse necessario astenersi dal toccare la vittima o altri oggetti nella stanza)”.

La pensionata avrebbe mentito, negando di avere confidato a un prete, padre Lorenzo Zamperin, i suoi “sospetti su una donna che aveva mire matrimoniali sul figlio” e “anche di avergli riferito di aver ricevuto da terzi il consiglio di mantenere il silenzio per il bene del figlio”.

Inoltre, avrebbe mentito quando aveva raccontato “di aver pulito solo tre gocce di sangue presenti nell’ingresso dello studio e sulle scale solo per assicurare la pulizia dei luoghi nell’interesse dei condomini (e non per cancellare eventuali tracce del delitto” e ha dichiarato “di non aver mai sospettato, nemmeno alla luce delle notizie di cronaca sulla perquisizione nell’abitazione di una donna (la Cecere, ragazza madre che si sarebbe invaghita del Soracco)”.