“Non sono bastate le numerose sentenze dei Tribunali Civili, delle Corti di Appello, dei TAR, un pronunciamento del Consiglio di Stato e una sentenza della Corte Costituzionale a fermare la pretesa della pubblica amministrazione, con l’Agenzia delle Entrate, di fare cassa a tutti i costi a spese del comparto dei porti turistici italiani, anche richiedendo il versamento di sovracanoni demaniali non dovuti.
Un atteggiamento che mette a rischio 2.225 posti di lavoro nella portualità turistica, gli introiti dei canoni demaniali versati all’erario da 24 porti turistici, un importante indotto sui territori e un serio danno non soltanto d’immagine per la ricettività turistica di tutto il Paese. Adesso arriva la ritorsione della revoca delle concessioni, che colpisce le prime due società”.
E’ questa la denuncia forte ed esplicita del presidente di Ucina Confindustria Nautica, Saverio Cecchi che, dopo aver provato senza successo a risolvere il problema per vie istituzionali, affida alla stampa la sua denuncia: “Abbiamo bussato a tutte le porte, tutti gli uffici dei ministeri interessati hanno sui loro tavoli questo dossier, da anni. Ho scritto al Ministro Gualtieri appena insediato, ma non ho ancora avuto una risposta. Secondo il mandato unanime degli organi direttivi di Ucina Confindustria Nautica, riteniamo doveroso opporci con ogni mezzo di fronte a una vera e propria ‘esecuzione’ a opera degli organi amministrativi dello Stato. Se per farlo sarà necessario adottare azioni anche eclatanti, non ci tireremo indietro.”
La vicenda riguarda 24 porti turistici italiani che sono in contenzioso con lo Stato dal 2007 per l’applicazione dall’art. 1, comma 252, Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007) che ha modificato, dal 1° gennaio 2007, i canoni annuali per le concessioni demaniali delle strutture della nautica da diporto, con aumenti fino a cinque-otto volte i canoni fissati all’atto di firma della concessione stessa, applicando retroattivamente il meccanismo di calcolo previsto per le spiagge, anche se, in quest’ultimo caso, previsto per importi e investimenti decine di volte inferiori.
Già in data 2 dicembre 2008, la Sezione centrale di controllo delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti, con un parere motivato, aveva evidenziato come il piano finanziario del concessionario che ha realizzato la struttura turistico ricettiva sia un elemento essenziale del contratto di concessione. Di conseguenza un aumento indiscriminato del canone originario, rappresenta una forzatura unilaterale e di fatto una modifica del contratto a danno dei diritti del concessionario.
La Corte dei Conti aveva inoltre sottolineato come l’aumento dei canoni fosse sproporzionato rispetto all’ipotizzato vantaggio per l’erario, sia in termini di contenzioso, sia in termini di possibili risultati economici.
Sono seguite numerose pronunce favorevoli ai porti da parte di diversi TAR.
La querelle è così arrivata alla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 29 del 10/27.1.2017, ha evidenziato come l’aumento dei canoni è possibile e quindi in assoluto legittimo, ma “va esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri alle concessioni non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti ed infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007” (paragrafo 5.7).
La Corte Costituzionale ha inoltre precisato che gli aumenti “risultano applicabili soltanto a quelle concessioni che già appartengano allo Stato e che già possiedano la qualità di beni demaniali.
Nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario, ciò può avvenire solo al termine della concessione, e non già nel corso della medesima”.
Nonostante la giurisprudenza – numerose le pronunce anche dai Tribunali Civili – sia dunque tutta a favore dei concessionari, l’Amministrazione dello Stato procede con l’emissione delle cartelle esattoriali e il blocco dei conti correnti dei porti turistici, tutte respinte dai Tribunali Civili.
È a questo punto che lo Stato gioca la carta della ritorsione sotto forma della revoca delle concessioni alle società colpevoli solo di aver resistito e vinto i ricorsi.
I primi a cadere sono il Marina Piccola s.r.l. e il Marina di Cattolica s.r.l. ma corrono lo stesso rischio di collasso 22 società e i loro 2.225 addetti, fra quelli diretti e quelli impiegati nelle attività commerciali delle strutture, con ulteriore pericoloso impatto sull’indotto e sulla ricettività turistica delle aree interessate dai provvedimenti che non è calcolabile.
Il paradosso di questa situazione è che il primo a rimetterci è l’erario che perderà anche i canoni ordinari e il gettito fiscale – IRPEF E IRPEG – generato dai Porti.