“Prima contro il governo, poi contro una canzone identitaria. Il Baglioni politico va rimosso dal Festival”.
E’ il titolo dell’articolo pubblicato ieri sul prestigioso sito web di cultura, economia e società “Scenarieconomici” dal professore genovese Paolo Becchi e dall’avvocato Giuseppe Palma, che spiegano, nella loro veste di editorialisti, per quali motivi Claudio Baglioni va rimosso dalla direzione artistica del Festival di Sanremo 2019.
“Ha iniziato con la solfa immigrazionista, ha continuato con la censura. In un conferenza stampa dei giorni scorsi – hanno spiegato Becchi e Palma – il direttore artistico del Festival di Sanremo 2019, Claudio Baglioni, ha sparato a zero contro la politica sull’immigrazione adottata dal governo, con marcato taglio critico contro il pugno duro di Salvini.
Chiaro che il nome del ministro dell’Interno non lo ha mai fatto, ma il riferimento esplicito alla gestione del tema immigrazione da parte del governo si. Due più due fa quattro e presto si è scatenata la polemica.
È pur vero che il festival di Sanremo è sempre stato terreno di scontro politico, ma mai da parte dei direttori artistici, che spesso lasciavano questo campo ai comici. Chi non ricorda i bei tempi di Grillo e Benigni? Baudo restava super partes ma la satira si poteva esprimere liberamente. E i bersagli talvolta ridevano, divertiti dall’essere presi in giro. Ma quella di Baglioni non è satira, bensì politica vera e propria.
Non contento, in qualità di direttore artistico ha preferito che il glorioso gruppo musicale dei New Trolls non partecipasse alla kermesse musicale.
Forse perché la loro musica è antica e attempata? Macché, il motivo è per la seconda volta politico. Il testo della canzone, infatti, traccia una voglia di riscatto nazionale, con taglio – se vogliamo – ‘sovranista’: ‘Unione fatta di parole e di ipocrisia’, ‘le nostre porte aperte al mondo e il terremoto che le spazza via’, ‘la paura poggia sai tra le vie della città, non ci permette più di camminare con l’amata libertà […] tutti i nostri sacrifici sono a rischio sai!’.
Parole di buon senso ma che il mondialista Baglioni non vuole che vengano cantate dal palco dell’Ariston. Come se il Festival fosse suo, dimenticando che gli italiani pagano il canone Rai nella bolletta dell’energia elettrica, col rischio di restare senza luce se non pagano.
Ora viene da chiedersi se la Rai debba tenersi per forza Baglioni. Mancano più di tre settimane al festival, quindi secondo noi si può ancora intervenire. Gli ottimi Magalli e Bonolis potrebbero sempre subentrare al globalista di Porta Portese.
Dal punto di vista giuridico, la soluzione è data dall’inadempimento contrattuale. Lo scopo, cioè l’oggetto del contratto, è in questo caso una buona riuscita del festival della canzone italiana. Non quello di fare politica coi soldi del canone.
La metà degli Italiani, cioè quelli che hanno votato le attuali forze politiche che sono al governo del Paese, pagano il canone e hanno il diritto di ascoltare dal palco dell’Ariston canzoni che richiamino l’interesse nazionale. Piacciano o no al direttore artistico.
Quando Milano era sotto la dominazione austriaca, Alessandro Manzoni poteva scrivere “Marzo 1821” e ospitare in casa patrioti e carbonari. Dovevamo aspettare il politicamente corretto e il globalismo sfrenato per assaporare il gusto amaro della dittatura.
Caro Baglioni, ti preferivamo con la maglietta fina e accoccolato ad ascoltare il mare, ma dalla parte di Soros proprio non ce lo aspettavamo. Lontani i tempi di Caro Gesù, Giuseppe e Maria siate la salvezza dell’anima mia…”.