Sugli arresti ai domiciliari del governatore ligure Giovanni Toti troppe cose non tornano. E’ un fatto politico: non sussiste il pericolo di fuga, né di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove
Il fatto che Giovanni Toti sia colpevole o innocente riguarda esclusivamente l’esito di un eventuale processo penale. Ecco, appunto, il processo, con tutte le sue regole a garanzia dell’imputato previste dalla Costituzione e dal Codice di procedura penale. Ma gli arresti domiciliari disposti dalla gip del Tribunale di Genova nella mattinata di ieri, su richiesta della Procura della Repubblica genovese (Direzione distrettuale antimafia), riguardano invece le indagini preliminari.
Nessuno, né il Tribunale né tantomeno la Procura, ha oggi il potere di affermare se Toti sia colpevole o no dei reati a lui contestati (corruzione elettorale per presunti fatti risalenti al 2020).
Per accertare la penale responsabilità di chiunque, piaccia o no, è indispensabile che si svolga un regolare processo. Per il momento, trovandoci nella fase delle indagini preliminari, la Procura ha chiesto l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del presidente della Regione Liguria in carica. E la giudice per le indagini preliminari di Genova l’ha disposta.
Tuttavia, per disporre una misura cautelare, cioè per poter privare un cittadino della sua libertà personale prima del passaggio in giudicato di un’eventuale sentenza di condanna, occorre necessariamente la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari previste dal codice di rito: pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato, pericolo di inquinamento delle prove.
Alla luce delle recenti norme garantiste sul divieto di diffusione del contenuto degli atti giudiziari in materia penale, la Procura della Repubblica di Genova, non potendo diffondere l’integrale contenuto della richiesta e dell’ordinanza che applica la misura cautelare, ha diramato un comunicato stampa in cui il nome di Toti compare esclusivamente nell’ambito di presunti finanziamenti a favore del “Comitato Giovanni Toti”.
In sostanza, qui non ci sono mazzette o valigette piene di soldi come ai tempi di Mani pulite, ma si tratterebbe di finanziamenti che risultano regolarmente denunciati.
Nessuno, fatta eccezione per gli indagati e i loro difensori, conosce nel dettaglio l’ordinanza applicativa delle misure cautelari. In queste ore, però, cominciano a circolare notizie anche in merito al contenuto dell’ordinanza con cui la gip ha applicato le misure cautelari agli indagati.
Sappiamo che si tratta di un’ordinanza di ben 654 pagine in cui si sostiene che il presidente della Regione Liguria avrebbe ricevuto finanziamenti per il suo comitato elettorale per poi mettere la propria funzione a disposizione di manager e imprenditori liguri.
Fermo restando che il pericolo di fuga non sussiste, le esigenze cautelari che secondo la gip genovese avrebbero giustificato l’applicazione della misura degli arresti domiciliari sarebbero due: pericolo di reiterazione del reato e pericolo di inquinamento delle prove.
Se così fosse, sarebbe davvero imbarazzante. Vediamo perché.
È fin troppo logico, lo capirebbe anche un bambino, che l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato non può sussistere. Perché è sufficiente la notifica di un avviso di garanzia affinché un presidente di Regione in carica sia minimamente accorto dal non commettere più eventuali azioni contestate o reati, semmai fino a quel momento li avesse commessi.
Medesimo discorso per il pericolo di inquinamento delle prove. Una Procura che indaga dal 2020, cioè da ben quattro anni, deve avere acquisito elementi di prova talmente inoppugnabili al punto di potere chiedere l’applicazione di una misura cautelare nei confronti di un presidente di Regione in carica. Altrimenti avrebbe in mano solo elementi indiziari e dunque, non lo voglio neppure pensare, userebbe il grimaldello delle misure cautelari per scopi differenti da quelli tassativamente previsti dalla legge.
Ciò detto, perché sbattere agli arresti domiciliari un presidente di Regione in carica? Non bastava notificargli l’avviso di garanzia? La decisione più restrittiva fa rimanere quanto meno perplessi, così come, in questo caso, ha subito espresso “perplessità” addirittura l’ex pm e attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Venerdì si terrà l’interrogatorio di garanzia di Toti, che in quella sede, tramite i suoi avvocati, potrà chiedere alla gip la revoca delle misure o la loro sostituzione con misure meno afflittive.
Dopo di che resta il Tribunale del Riesame.
Poi, per saltum, la Corte di Cassazione (sempre competente in materia di libertà personale).
Tutte procedure che si devono affrontare in modo veloce e che, stante i fatti finora emersi, auspicabilmente possono portare alla liberazione di Toti prima degli appuntamenti elettorali per le europee e le amministrative in Liguria.
Il processo vero e proprio avrà inizio solo dopo la conclusione delle indagini. Se poi risulti innocente, ti sei fatto gli arresti domiciliari e ti sei visto distruggere la carriera politica pur essendo estraneo ai fatti. E la chiamano giustizia.
Come che sia, un’indagine da sbattere in prima pagina dei giornali e in tutte le televisoni a un mese dalle elezioni europee e amministrative suona come battaglia politica.
Perché non attendere il 10 giugno per fare scattare gli arresti, visto che non c’era alcuna fretta se si considera che l’indagine ha avuto inizio ben quattro anni fa?
Toti ai domiciliari e sospeso dalla sua funzione, mentre Emiliano e De Caro al loro posto.
È sempre la solita musica: se sei di centrodestra, oltre all’indagine, scattano pure gli arresti. La guerra dei trent’anni non è ancora finita. Prof. Paolo Becchi