Da pochi giorni l’Università di Genova ha approvato alcune linee guida che dovrebbero cambiare il modo di esprimersi in Ateneo per essere rispettosi “della dimensione di genere e inclusivi”.
È una tendenza diffusa, forse ormai irreversibile e bisogna pur riconoscere che almeno nel nostro Ateneo non ci si è spinti, con una motivazione peraltro insoddisfacente, ben diversa da quella condivisibile data dall’Accademia della Crusca, sino all’introduzione obbligatoria di asterischi e “schwa”.
Beninteso, lungi da me voler discriminare qualcuno sulla base del sesso, come sulla base “di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, ma discrimino qualcuno sulla base del sesso se dico che dal punto di vista biologico esistono due sessi anche se molteplici possono essere gli orientamenti sessuali delle persone?
Perché devo essere costretto ad accettare un’ideologia, l’ideologia del gender, e quindi credere che esistano più generi e più sessi e che si possa in qualsiasi momento passare da un’identità sessuale ad un’altra?
L’ideologia gender si basa fondamentalmente su questo: il sesso in natura non esiste, quello che esiste è solo il genere che ciascuno socialmente si costruisce come vuole.
Insomma, tutt* nascono come esseri umani, poi col tempo un* decide di essere donna o uomo o di essere non binario e dunque di cambiare sesso durante la sua vita, anche più volte. Alla nascita si potrà solo “assegnare” il sesso che poi la persona crescendo potrà decidere di mantenere o modificare come crede.
Un po’ come uno dei direttori della filiale inglese della Silicon Valley Bank che in certi giorni si presenta in ufficio vestito da donna e si fa chiamare “Pippa” e in altri giorni si veste da uomo e si fa chiamare “Philip”. Figo eh?
L’ ideologia gender è diventata la nuova ideologia della sinistra. Dalla società senza classi alla società senza sessi. Senza dubbio un gran cambiamento, ma non vedo perché l’Università dovrebbe farsene carico, addirittura mutando il modo di esprimersi che da sempre si è usato, senza che nessuno avesse mai parlato di discriminazione.
Nelle università ci sono sempre stati “i professori” e “gli studenti” e oggi non si possono più usare questi termini perché non sarebbero inclusivi?
Ci rendiamo conto dell’assurdità a cui stiamo arrivando accecati, per dirla con Marx, da una “falsa coscienza” ideologia?
E siamo poi certi che il maschile plurale sia veramente esclusivo?
Per la verità dal punto di vista grammaticale e glottologico ad essere esclusivo è il femminile plurale, mentre ad essere inclusivo è proprio il maschile plurale: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”. “Tutti i cittadini” significa maschi, femmine, omosessuali, lesbiche, transessuali maschili e femminili, ermafroditi, non binari, gender fluid, genderqueer, pangender, bigender, androgini, donne XY, travestiti, e mi scuso con tutti gli altri gender che dimentico.
Cosa c’è di più inclusivo?
Ma facciamo un po’ di glottologia storica, siamo pur sempre “professori”. “Maschile” è, senza dubbio, una denominazione maschilista. In realtà non esiste nessuna lingua che abbia un genere maschile e uno femminile senza un genere sovraordinato a entrambi. È impossibile sul piano della struttura della lingua.
Non è un caso che oggi lo si voglia ‘fabbricare’ daccapo: ma la verità è che già esiste questo genere sovraordinato, solo che è stato chiamato per maschilismo “maschile”.
Chi prende sul serio la denominazione di “maschile” non fa altro che adeguarsi a questo maschilismo.
Molto più semplicemente, andrebbe chiamato, come già fanno i linguisti, “genere comune”. Come tale, infatti, funziona (da quando le lingue neolatine hanno abbandonato la distinzione indoeuropea fra neutro, di per sé “inanimato”, e animato, il cosiddetto “maschile” che tale non è).
Non bisogna dimenticare che il genere grammaticale non è esclusivo: solo gli oggetti inanimati e (da quando non esiste più il neutro nelle lingue neolatine) i maschi hanno un solo genere (il “genere comune”, appunto), mentre le femmine hanno il privilegio di avere diritto a tutti i generi (due nelle lingue neolatine; tre in latino, in tedesco e tantissime altre lingue).
Il genere femminile è riservato alle femmine (non solo umane); il “genere comune” è appunto comune a tutti. È questo il genere inclusivo.
Dulcis in fundo. Le università dovrebbero essere il luogo del confronto e della discussione e non dell’imposizione di ideologie qualunque esse siano.
Non ho niente in contrario a discutere con un sostenitore del gender, ma non vedo perché dovrei conformarmi al suo pensiero che non condivido, modificando addirittura, come ora mi viene richiesto, il mio modo di parlare e di scrivere in Università. Non lo farò da docente. Che fate ora per promuovere l’inclusività, mi escludete? Prof. Paolo Becchi
Il professore Paolo Becchi è ordinario di Filosofia del Diritto all’Università di Genova.