Neri Marcorè, prendendo spunto dalle canzoni-denuncia di De Andrè e da scritti in cui Pasolini esponeva le proprie profetiche visioni, propone al pubblico un ripensamento del vivere quotidiano che voli al di là del “suo particulare” di ognuno, di una vita spesso vissuta in modo congestionato, distratto, in balia di comportamenti non scelti ma suggeriti da media, novelli santoni.
Ed accettati a scatola chiusa, senza percepire il degrado umano ed ambientale che ne è il risultato.
Lo spettacolo alterna brani recitati e canzoni meno note di Fabrizio De Andrè, interpretate da bravi musici e con ottima musicalità: uno spettacolo privo di pause che mantiene un ritmo tranquillo e lineare, permettendo allo spettatore di seguire, pensare, valutare.
Siamo in accordo, “i beni superflui rendono superflua la vita” e a volte la rendono più corta: orribili sono le isole di plastica galleggianti grandi come continenti, come è potuto accadere?
Però, per quanto riguarda l’incisività dei monologhi, le intenzioni di Marcorè non sempre fanno centro: gli argomenti trattati sono molti, troppi, ed alcuni opinabili.
Vergognosa la prostituzione infantile usufruita anche da migliaia di italiani, spaventoso il numero di bimbi che muoiono di fame mentre una parte del mondo spreca il cibo, ma perchè sciorinare questi tragici numeri mentre i musicisti continuano allegramente a suonare? Forse sarebbe stato più opportuno un lungo momento di silenzio. E un po’ dispiace che un attore di valore parli di autentici drammi con sorprendente pacatezza, in quanto non si annotano moti di vera rabbia o di sarcasmo.
In effetti vi è un evidente contrasto tra il contenuto che ci si propone di porgere e il contorno scenico, per cui a volte il messaggio risulta appiattito ed a volte troppo semplicistico per non dire sconcertante.
Se è vero che il futuro non arriva e il passato non torna, è anche vero che da una parte è abbastanza difficile desiderare certi aspetti del passato, dall’altra non è facile, pur invocando la decrescita felice, peraltro nominata ma poco illustrata, farne tornare la parte migliore e meno consumistica.
Marcorè avrebbe centrato l’obiettivo se avesse tralasciato di parlare di drammi che annichiliscono, (risolvibili solo dai governi, se lo volessero), ed avesse magari ironizzato e calcato su irrazionalità e paradossalità più vicine alla nostra psiche: indovinato il racconto dell ‘interrogazione parlamentare sulla mucca Carabella, il cui pupazzo resta al centro della scena come simbolo della stupidità umana.
Bello ricordare che la saggia e dolce lumachina aggiunge spirali alla sua casetta finchè il volume le permette di camminare e non più in là.
Rassicuro sull’esistenza delle simpatiche lucciole: se ne vedono ancora, eccome!
“Quello che non ho” resta in scena al Teatro della Corte fino a domenica 18 febbraio.
Con Neri Marcorè e agli strumenti Giua, Pietro Guarracino, Vieri Sturlini, regia di Giorgio Gallione.
Elisa Prato