Assolutamente da vedere questo capolavoro di Eduardo De Filippo del 1945, ripreso dal regista Marco Tullio Giordana e interpretato dalla compagnia Elledieffe del compianto Luca De Filippo.
Un canovaccio conosciutissimo e fortunato, non a caso ripreso due volte dal cinema (indimenticabile l’interpretazione di Renato Rascel) ed apprezzato anche all’estero.
Già dall’apertura del sipario ci si immerge in una atmosfera soffusa, familiare e nota ai nostri ricordi: i soffitti alti, le stanze spaziose tipici dei palazzi vecchio stile, i mobili essenziali e di gusto, lo specchio antico a tasselli, il colore giallo mantecato delle pareti che ricorda quello di una elegante carta da lettere in disuso, la casa della nonna, delle zie.
I cari ambienti di sfondo del buon vecchio teatro intimista che rilassa e intanto fa riflettere, i testi svolti dai protagonisti con un fraseggio privo di violenza, di urli, di strepiti (ma di quale emotiva intensità), affinchè i vicini, i dirimpettai non sentano. Perchè la forma è, secondo tradizione, importante quanto la sostanza, soprattutto quando veste le verità che si fabbricano ad uso degli altri, sempre all’erta e dalla quotidianità non ancora distratta dall’avvento della televisione o internet.
Verità posticce, alle quali anche gli ideatori finiscono per credere.
Don Pasquale Lojacono ha l’età della pensione, pochi mezzi ed una moglie più giovane: gli viene dato in comodato un antico appartamento disabitato da tempo perchè, come spiega il ciarliero portiere Raffaele, ha la fama di essere abitato da fantasmi.
Il nuovo inquilino a titolo gratuito dovrà svolgere il compito di adoperarsi per convincere gli esterni, canterellando e sbattendo tappeti dai numerosi balconi, che i rumori provenienti dal palazzo sono provocati solo da esseri umani.
E in effetti i fantasmi, interiori o meno, che si avvicendano nell’appartamento, sono talmente umani che di più non si potrebbe.
L’atrmosfera di casa non riesce mai a diventare lugubre, sia per il viavai di esseri umani o sedicenti trapassati, sia per merito del furbo portiere, interessato a perpetrare la leggenda degli spiriti vagolanti per giustificare qualche ammanco e ad alimentare paure nel povero protagonista.
Pettegolo e mariuolo secondo la miglior tradizione che incombe sui portieri, ma di compagnia ed onnipresente, è continuatore di una pratica ed antica saggezza, che porge in maniera così accattivante da far passare persino i pregiudizi più radicati nei confronti delle donne, che alla fine “uomini non sono”: la loro irrequietezza nell’ambito matrimoniale, un attentato alla vita tranquilla del marito, va placata con un paio di schiaffoni e, alla fine, le stesse donne, conclude, te ne sono grate… fino alle lacrime.
Ma don Pasquale, il marito con gli occhi apparentemente bendati, chi è davvero? Un debole, un furbo, o solo un uomo che cerca di tenersi con ogni mezzo quel poco che ha, così si “va avanti”?
Certo una persona non priva di una sua capacità di penetrazione psicologica e di elaborazione dei comportamenti, che in qualche modo segna il suo riscatto morale: toccante la sua versione sugli aspetti del silenzio, intimo o agghiacciante a seconda delle situazioni…
L’interpretazione superba, che fonde la miglior tecnica teatrale con l’espressività ora dolente ora comica della miglior commedia napoletana, fa di questo lavoro un indimenticabile gioiello scenico, degno di un posto inespugnabile nella storia del teatro italiano. Sempre godibile l’impareggiabile descrizione del rito quasi sacro della preparazione del caffè con la caffettiera napoletana, che impone tempi lunghi, nonché del sorseggio.
Bella e carica di atmosfera la serenata fuori palco di Alfredo a Maria.
Questi fantasmi resta al Teatro della Corte fino a domenica 3 febbraio.
Elisa Prato