“La sfida è immensa e l’opportunità unica. Ma riusciremo a coglierla ponendo i giovani al centro dell’agenda? Sono loro che oggi hanno bisogno di superare le criticità, messe recentemente a nudo da uno studio secondo cui chi ha più patito le conseguenze della pandemia è la fascia tra i 18 e i 34 anni: circa il 32% dichiara ad esempio di soffrire di disagio, senso di isolamento, assenza di speranza nel futuro sotto l’aspetto emotivo, economico e lavorativo. Di questo passo rischiamo il depotenziamento del nostro capitale sociale”.
Lo ha dichiarato il consigliere regionale Paolo Ugolini (M5S) a margine del consiglio regionale monotematico di oggi sul Recovery Fund.
“L’Unione Europea – ha aggiunto Ugolini – ci chiede di concentrare le risorse del Recovery Fund su pochi progetti a elevato moltiplicatore.
All’Italia è stata assegnata la fetta più consistente dei fondi che, se ben utilizzati, consentiranno al nostro paese e alla nostra regione di ripartire dopo il terremoto della pandemia.
Un piano straordinario che non a caso si chiama Next Generation EU e il cui obiettivo mi sembra molto chiaro: pensare alle prossime generazioni, investendo nel futuro dei nostri giovani.
E noi ne abbiamo bisogno come non mai: la Liguria è infatti una delle regioni dove la condizione giovanile è tra le più allarmanti.
Con l’avvento del coronavirus, infatti, le nuove generazioni hanno visto chiudere scuole e università: molti che avevano iniziato a lavorare hanno visto scadere i propri contratti e si sono ritrovati disoccupati, senza nessuna colpa e poi senza cassa integrazione, senza sussidi.
Giovani lavoratori e studenti che ora sono interamente nelle mani del cosiddetto welfare familiare.
Ogni nostra decisione oggi inciderà pesantemente sul domani dei nostri figli: saranno loro a dover restituire quei finanziamenti.
Il nostro piano di ripresa e resilienza deve dunque partire da un forte sostegno alle politiche giovanili e contestualmente all’innovazione.
Servono piani per migliorare la preparazione degli studenti e la quota di diplomati e laureati; progetti per il loro inserimento nel mondo del lavoro evitando anche la fuga dei cervelli; azioni per la completa digitalizzazione del mondo della scuola, dell’università e della ricerca. E va colmato il digital divide: siamo incredibilmente indietro e paghiamo lo scotto di anni di sostanziale stagnazione degli investimenti nelle reti di telecomunicazioni fisse.
Serve poi equità. Si usino i soldi del Recovery anche per garantire all’entroterra le stesse opportunità digitali delle città. A guadagnarci saranno la scuola, la sanità, il lavoro, l’agricoltura, la fruizione della cultura e del patrimonio artistico e tecnologico, così come la pubblica amministrazione che avrà l’opportunità di snellire e facilitare tantissime procedure semplificando la vita dei cittadini.
L’accesso alla rete è un diritto fondamentale riconosciuto dalle Nazioni Unite: il ‘digital divide’ mina la coesione sociale e lo sviluppo di cui abbiamo tanto bisogno”.