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Report mafia e ‘ndrangheta in Canton Ticino. Allarme FedPol. Intervista a Nicola Gratteri

LUGANO Da decenni le cronache riportano con una certa costanza casi di appartenenti a organizzazioni mafiose di cui viene segnalata la presenza in Svizzera e, in particolare, in Ticino.

Nei giorni scorsi è stato fermato un latitante calabrese 51enne a Magliaso, nel Luganese. Sulla sua testa pendeva un mandato di cattura internazionale spiccato dalla Procura di Crotone per un duplice omicidio.

Non è che l’ultimo episodio che attesta l’indubbio interesse dei clan per la Confederazione Elvetica, dove generalmente non risultano però attività gestite direttamente dalle organizzazioni criminali, come avviene a pochi chilometri di distanza nei principali centri del Nord Italia: le associazioni criminali preferiscono mantenere una presenza defilata. In Svizzera vengono poste basi logistiche per i traffici di armi e di droga, vengono riciclati (con sempre maggiore difficoltà, ndr) i proventi delle attività criminali e si rifugiano latitanti.

Ma le norme sono diventate sempre più restrittive e la collaborazione tra investigatori internazionali funziona. Le modifiche della legge sulle armi, approvate dal popolo elvetico lo scorso 19 maggio e entrate in vigore il 15 agosto – fanno calare il sipario su quello che era un “supermarket” di fucili e pistole per le mafie, come hanno testimoniato numerose inchieste nei decenni passati.

Più arduo sembra invece stroncare il flusso di stupefacenti attraverso la frontiera, un problema irrisolto anche a livello internazionale. Nel 1994 finì in manette un insospettato agente della polizia cantonale, di stanza all’aeroporto di Agno, per aver agevolato il trasferimento di valigie piene di cocaina dalla Colombia all’Italia attraverso lo scalo luganese.

A testimonianza delle vaste infiltrazioni e della potenza delle organizzazioni internazionali che non si arrestano di fronte a un insuccesso. Ma se per il momento la presenza di queste organizzazioni è tutto sommato episodica in futuro la situazione potrebbe cambiare.

Le mafie e le loro infiltrazioni finanziarie in Svizzera

L’evoluzione dei reati finanziari nella Confederazione ha connotato la lotta alle organizzazioni criminali nell’ultimo mezzo secolo.

Due milioni di Dollari nascosti in un bidone del latte rinvenuti in una fattoria in disuso a Scairolo Vecchio, nel Luganese. La scoperta del gennaio 1994, resa possibile grazie alle rivelazioni del pentito Salvatore Cancemi, fece balzare agli occhi di tutti le connessioni della Mafia con la Svizzera.

In quel caso, come emerse nell’inchiesta, fu lo stesso boss Totò Riina a ordinare al pentito di nascondere parte dei guadagni del traffico di eroina condotto dai Corleonesi nel cascinale diroccato ticinese. La Confederazione rappresentava infatti un rifugio ideale per occultare e riciclare i proventi delle lucrose attività criminose che potevano prosperare grazie a un quadro normativo carente.

Nella piazza finanziaria ticinese vennero individuate diramazioni della vasta inchiesta internazionale degli anni ’80 denominata “Pizza Connection” che portò a un processo celebratosi non senza difficoltà, per le citate carenze legislative, a Lugano.

Da allora la situazione è mutata radicalmente, nell’ordinamento elvetico è stato introdotto nel 1990 lo specifico reato di riciclaggio (305 bis cp) e nel 1994 quello di organizzazione criminale (260 ter cp), che hanno reso più complicata la vita di Cosa Nostra e organizzazioni affini. Il resto lo ha fatto l’adesione di Berna ai criteri di trasparenza finanziaria dettati in seno all’Ocse, con la fine del segreto bancario (per i non residenti).

C’è però un nuovo fronte che desta non poche preoccupazioni, quello costituito dalle criptovalute. Organi di sorveglianza e addetti ai lavori hanno già lanciato l’allarme sui rischi di questi prodotti finanziari che potrebbero essere utilizzati dalla criminalità: per le autorità chiamate a contrastare questi fenomeni si profila una nuova impegnativa sfida.

La Polizia Federale si mobilita. Mafia sottovalutata in Svizzera

Espulsioni, divieti d’entrata, corsi antiriciclaggio per le banche e un regolare scambio di informazioni fra Confederazione e Cantoni. La polizia federale ha definito e sviluppato i contenuti del piano nazionale antimafia, annunciato poco meno di un anno fa. Alcune tra le misure previste sono state attuate, lavorando soprattutto sul fronte della prevenzione: “Tutto il fenomeno mafia è stato sottovalutato in Svizzera. I provvedimenti già adottati riguardano non tanto la repressione, quanto la prevenzione e la cooperazione”, così si pronuncia il Capo dell’Ufficio Federale di Polizia (FedPol) Nicoletta della Valle.

Nicoletta Della Valle

“Oltre ad aver applicato misure di polizia amministrativa, come espulsioni e divieti di entrata, abbiamo lavorato anche sulla formazione dei funzionari dell’amministrazione federale e cantonale per meglio riconoscere i casi di riciclaggio” – aggiunge la direttrice di FedPol.

Cifre alla mano, emerge che solo nell’ultimo anno sono stati emanati 13 divieti di entrata per persone condannate all’estero per mafia e il Ticino figura tra le realtà maggiormente attente alla problematica.

Intervista a Nicola Gratteri: “Per le mafie è conveniente delinquere in Svizzera”

La ‘ndrangheta è presente da decenni in Svizzera. Malgrado la buona collaborazione con l’Italia, il sistema giudiziario elvetico non è adeguato alla realtà criminale presente sul suo territorio. Lo afferma il magistrato e saggista italiano Nicola Gratteri, Procuratore Generale della Repubblica a Catanzaro.

Nicola Gratteri

 

La ‘ndrangheta in Svizzera c’è da tempo: quando e come si è infiltrata?

“Abbiamo tracce della ‘ndrangheta in Svizzera almeno dalla fine degli anni ’80. In seguito a una faida a Monticella, un paesino in provincia di Reggio Calabria, una famiglia di ‘ndranghetisti si è trasferita in Svizzera, insediandosi nella zona di Neuchâtel. Proprio in quegli anni abbiamo fatto delle rogatorie internazionali, siamo andati in Svizzera, abbiamo fatto delle indagini e siamo riusciti a catturare due latitanti. Per la polizia e per la magistratura svizzera, ciò è stata una grande sorpresa” – dice Gratteri che sottolinea ancora: “L’80% della cocaina che arriva in Europa è per mano della ‘ndrangheta”

In passato ci sono stati processi e condanne in Svizzera. Ad esempio, quello dell’avvocato Moretti, condannato per aver riciclato 75 miliardi di vecchie Lire. E numerose sono state le inchieste da parte italiana, molte anche sue, come le operazioni ‘Insubria’ e ‘Blue call’.

“Quando gli ‘ndranghetisti, i camorristi o gli uomini di Cosa nostra vanno all’estero – chiarisce Gratteri – cercano di mimetizzarsi. Non vanno a bruciare automobili o a sparare alle serrande. Vanno all’estero per rifugiarsi come latitanti – perché sanno che non vengono controllati dal momento che in Europa non c’è la cultura del controllo del territorio –  oppure lo fanno per vendere cocaina e poi comprare tutto ciò che è in vendita”.

È la droga il settore in cui gli ‘ndranghetisti italiani in Svizzera sono più attivi?

“Secondo le indagini che abbiamo fatto – continua il Procuratore Generale -, l’80% della cocaina che arriva in Europa è per mano della ‘ndrangheta. I soldi da loro ricavati non tornano in Calabria né in Sud America perché i cartelli colombiani, per esempio, vogliono essere pagati in Europa poiché più conveniente. L’Europa e quindi anche la Svizzera diventano un grande supermercato in cui comprare tutto ciò che è disponibile”.

Coi soldi ricavati dalla droga, quindi, si comprano armi e si investe in immobili. Il riciclaggio di denaro è uno dei settori in cui la ‘ndrangheta è più attiva. Secondo le inchieste, ciò non avviene solo nel vicino Canton Ticino, ma anche in altre parti della Svizzera come conferma l’indagine ‘Helvetia’ del 2014 sulla cosca di Frauenfeld, nel Canton Turgovia.

“È capitato nel corso dei decenni di fare indagini sul riciclaggio, ma non in modo sofisticato come si vede nei film. Sono state condotte nel modo più rozzo possibile su persone che fisicamente, attraversando le frontiere, hanno portato in Svizzera milioni di Euro depositandoli nelle banche elvetiche”.

La Svizzera sta facendo abbastanza per contrastare la ‘ndrangheta e le altre organizzazioni criminali? Lei stesso ha dichiarato in passato che alcuni reati, come per esempio quello di associazione mafiosa, in Svizzera sono trattati in maniera più lieve rispetto al sistema legislativo italiano.

“Questo è un problema che non riguarda solo il sistema giudiziario elvetico, ma tutta l’Europa dato che negli ordinamenti non c’è il reato di associazione di stampo mafioso. Il reato che in Svizzera gli si avvicina è quello di associazione segreta, la cui pena va da uno a cinque anni. Una pena ridicola se si pensa che in Italia corrisponde alla condanna che rischia una persona in possesso di una pistola con matricola abrasa.

Per le mafie è quindi conveniente delinquere in Svizzera, così come è conveniente farlo nel centro e nel nord dell’Europa. Le pene sono molto basse e il rischio di essere indagati esiste solo se le polizie italiane fanno delle indagini” – esplicita Gratteri.

A questo proposito il caso del killer della ‘ndrangheta di Lamezia Terme, Gennaro Pulice, è abbastanza emblematico. Come lui stesso ha ammesso durante una confessione, è entrato in Ticino grazie a un permesso B ottenuto corrompendo un funzionario cantonale.

“Comunemente si pensa che il problema della corruzione riguardi principalmente gli italiani. È un cliché superato. Purtroppo, negli ultimi decenni in Europa, nella cultura occidentale – conferma Gratteri –  c’è stato un forte abbassamento della morale e dell’etica. E questo non ha investito solo l’Italia, ma tutta l’Europa. In Italia ciò emerge di più perché si fanno più indagini, ci sono strumenti normativi che consentono alla polizia giudiziaria e alla magistratura di andare più in profondità”.

Gennaro Pulice

In oltre 30 anni di carriera, Lei ha collaborato con le forze di polizia e con colleghi magistrati di tantissimi Paesi: che rapporto ha con i suoi omologhi svizzeri?

“Direi che ultimamente il rapporto è migliorato: soprattutto da un paio di anni a questa parte le autorità svizzere hanno cominciato a prendere coscienza del fenomeno e del problema mafie sul proprio territorio. Ma purtroppo, come dicevamo prima, gli inquirenti elvetici non sono facilitati né aiutati da un sistema giudiziario non proporzionato alla realtà criminale presente in Svizzera”.

Ci sono dei legami tra le mafie italiane in Svizzera o rapporti specifici tra la ‘ndrangheta e le altre associazioni criminali – balcaniche o dell’Africa – presenti sul territorio elvetico?

“Diciamo che la ‘ndrangheta è molto presente in Svizzera – prosegue Gratteri. Ma io prevedo che nella Confederazione, come in tutta Europa, la mafia del futuro sarà quella albanese.In Albania c’è una forte corruzione, ci sono delle associazioni criminali potentissime che nessuno contrasta e che, grazie ai soldi, riescono a incidere anche sul sistema giudiziario e ad imporsi nel mercato della cocaina in Europa. Ora sono molto presenti in Olanda, ma pure in Sud America insieme alla ‘ndrangheta.

Nicola Gratteri

Nato a Gerace nella Locride in Calabria il 22 luglio del 1958, Nicola Gratteri è dal 2016 il Procuratore Generale della Repubblica di Catanzaro ed è oggi il massimo esperto di ‘ndrangheta. Entrato in magistratura alla fine degli anni ’80, come Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria, ha firmato diverse inchieste che hanno coinvolto molte persone residenti in Svizzera. Vive sotto scorta dal 1989. Vincitore di numerosi premi per il suo impegno civile e sociale, ha scritto diversi libri e saggi sulla criminalità organizzata insieme al giornalista e docente Antonio Nicaso.

Marcello Di Meglio