“Amadou è un ragazzo gambiano di non ancora vent’anni. E’ arrivato a Genova 2 anni fa come richiedente asilo. Uno di quei ragazzi e ragazze che lascia la sua casa, percorre centinaia di chilometri a piedi o in bus per raggiungere nel suo caso la Libia e da lì continuare il viaggio via mare, su delle vere e proprie carrette con la speranza di arrivare, vivi, in Europa, nel suo caso in Italia. Lui ce l’ha fatta: inserito in una comunità per richiedenti asilo politico, ha incominciato la sua vita a Genova”.
Comincia così il post pubblicato oggi su Facebook dai responsabili del centro sociale autogestito “Pinelli” di Genova Molassana, che ha ospitato il giovane africano finito nei guai e, fra le altre iniziative come le lezioni di italiano, organizza corsi di pugilato aperti anche ai migranti.
“Abbiamo conosciuto lui e altri ragazzi africani – ha aggiunto il Csoa Pinelli – attraverso la palestra di pugilato. Il primo anno e mezzo è trascorso tranquillo, privo d’intoppi anzi, vissuto con l’entusiasmo e la curiosità di chi sa di giocarsi la vita.
Gli ultimi sei mesi sono stati un vero e proprio labirinto infernale:la casa, la scuola e il poco denaro di cui poteva disporre non sono bastati, ad Amadou è mancato l’ascolto, l’interesse e l’attenzione da parte di chi era delegato a prendersi cura di lui (un ragazzino che al suo arrivo non era ancora maggiorenne).
Così la difficoltà e la tristezza, che nessuno ha colto, la cattive compagnie che inevitabilmente si accettano in un momento di debolezza, poca lucidità e solitudine, hanno portato Amadou a fare una serie di ‘cazzate da ragazzetto’ lui che ha sempre dimostrato maturità.
L’ultima gli è costata la revoca dell’accoglienza da parte della cooperativa che ne aveva ‘cura’.
Amadou da una settimana vive con noi e fino a che la sua situazione non si normalizzerà continuerà a farlo, ovviamente se vorrà.
Avremo molte spese per sostenere quello che oltre essere un gesto di solidarietà consideriamo un atto politico e di mutuo soccorso, per cui abbiamo pensato per l’immediato di proporre una raccolta fondi attraverso la vendita di una maglietta, almeno per gestire le spese più immediate.
Ci sarebbero tante cose da dire su questa triste storia, l’unica che riteniamo importante ed esauriente è che a pagare per i propri errori sono sempre e solo i più deboli, e visto che noi stiamo da questa parte pagheremo insieme ad Amadou, finché ci sarà da pagare e gioiremo quando ci sarà da gioire”.