I genovesi non sono solo conosciuti per le parolacce (le parole del gatto) ma anche per quelle della gatta rivolte alle donne e all’amore. Ecco il primo dizionario genovese italiano per dire ti amo o meglio “te veugio ben”.
Alcuni decenni fa Michelangelo Dolcino (autore del long seller “E parolle do gatto”, Erga edizioni) aveva considerato, pur rimanendo nell’ottica genovese, ogni possibile accezione dell’amore umano, dal più sublime a quello più sconsolatamente terreno ed effimero, annotando “tecniche” di corteggiamento, riti di fidanzamento e nozze, oroscopi amorosi, pratiche magiche.
Nino Durante ne ha rivisitato il testo con delicatezza, avvicinandosi al palpitare dei cuori innamorati di oggi.
Nasce così E parolle da gatta.
L’elogio dell’amore attraverso la poesia nostrana; la sua nascita, con la relativa crescita, nelle fiabe classiche, raccontate in rima genovese; la genesi e lo sviluppo amoroso attraverso i nostri proverbi e i nostri modi di dire; l’amore cantato da Fabrizio De André nelle sue sfaccettature più amare e nello stesso tempo ironiche; personaggi della storia e del folklore genovese che hanno declinato il sublime sentimento in maniera esemplare, seppur in modi diversi, non disdegnando di sconfinare, ma solo con la punta dei piedi, in qualche espressione birichina.
Se i lettori di queste “E parolle da gatta” vorranno inviare contributi, rigorosamente in genovese, che saranno accolti via via nelle prossime edizioni, potranno inviare una mail a parolledagatta@erga.it.
Ecco alcuni esempi.
ANGIENETTE – s.f. pl. Moine, carezze tributate per ottenere qualcosa.
AXILLO – s.m. Ruzzo, allegria smodata. «Deriva forse da assillo, animaletto alato, poco maggiore di una mosca, che pugne così gli armenti da infuriarli». (G. 0livieri, «Dizionario genovese-italiano», Genova, 1851). Figuratamente, vale anche dimostrare particolare eccitazione sessuale; così nell’espressione: «Avèi l’axillo a-o bae», «avere il ruzzo all’agnello».
CAPPELLETTA – s.f. Cappelletta, piccolo edificio religioso. «Ese in cappelletta», «essere in cappelletta»: essere vicinissimi al matrimonio.
COPPETTIN – s.m. Scodellino, ciotolino. Figuratamente i coppettin sono le mammelle, non troppo voluminose, specie giovanili.
FÏ – s.m. Filo. «Fâ o fï a ûnn-a», «fare il filo a una»: corteggiarla. Anche – e in tal caso è proprio di donna – farsi notare con insistenza, per provocare iniziative galanti.
FOTTIGNIN – s.m. Frugoletto: piccolo bimbo molto vivace. Anche si dice affettuosamente alla propria ragazza, specie se minuta ed esuberante.
LÛMME s.m. Lume. «Reze (ò tegnî) o lûmme», «reggere (o tenere) il lume»: essere costretto, da qualche circostanza, ad assistere alle effusioni di una coppia.
MACACCO – s.m. Macaco. «Fâ ballâ o macacco», «far ballare il macaco»: masturbare un uomo. V. anche Marionetto.
PARPAGGIÊUA – s.f. Parpagliola: antica moneta da due soldi. Figuratamente, vulva.
SPOSAGGE . s.f.pl. – I confetti nuziali (v. Çinque).
TOFFANÏA – s.f. Tafferia: piatto grande di legno per uso di cucina. Figuratamente, cappello femminile vistoso, ma anche deretano molto prominente.
VERDE – agg. Verde. «Fâ o verde», «fare il verde»: ci si riferisce a un curioso gioco diffuso tra fidanzati liguri sino all’inizio del nostro secolo, e che pare sussista ancora in qual che paese, specie dell’entroterra chiavarese. Nel mese di maggio la coppia si scambiava una o più foglie di bosso, custodendole poi gelosamente, giacché uno dei due innamorati poteva chiedere all’improvviso: «Fêua o verde!», «Fuori il verde». Se non si era in grado di obbedire all’ingiunzione, si dovevano subire rimproveri di scarso amore, ma anche il pagamento d’un pegno precedentemente fissato. A volte si avevano vere e proprie tragicommedie, quando uno dei giovani – fedifrago custode di più foglie – si confondeva nell’esibizione.