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Sappe: allarme criminalità nelle carceri. Droga e telefonini

Ancora un lancio di droga e telefonini nel carcere di Marassi
Il carcere di Marassi

“È allarme criminalità nelle carceri del Liguria dopo gli ultimi rinvenimenti di sostanza stupefacente e telefoni cellulari di ultima generazione in due delle sei strutture detentive liguri.” La denuncia arriva dal Sappe della Liguria  in merito all’uso, da parte della criminalità, sugli espedienti usati per fare pervenire nelle strutture detentive della Regione e della Nazione di telefonini e droga, tra i quali vi è anche il ricorso ai droni.

“Sono stati rinvenuti, nell’intercinta della casa circondariale di Marassi a Genova – precisa Vincenzo Tristaino, segretario regionale per la Liguria del Sappe – sei smartphone e circa un etto di droga, provenienti da lanci da strade attigue al carcere.

Una vera e propria piaga, questa dei lanci, che denunciamo non da settimane o mesi ma da anni”.

Il sindacalista della Polizia penitenziaria ha inoltre riferito che “anche nel carcere di Chiavari, in via del Gasometro, sono stati rinvenuti due telefoni cellulari nei reparti detentivi” e ha evidenziato come anche questi ultimi eventi “confermano tutte le ipotesi investigative circa l’ormai conclamato fenomeno di traffici illeciti, fenomeno favorito anche dalla libertà di movimento dei detenuti a seguito del regime custodiale aperto e delle criticità operative attuali, in cui opera la Polizia Penitenziaria, con dei livelli minimi di sicurezza.

Segnalo che in diverse carceri italiane è stata accertato l’uso illecito di droni per introdurre nelle telefonini, droga e persino armi.

Il compiacimento del Sappe va quindi alla preziosa ed efficace attività del personale dei reparti di Polizia penitenziaria di Marassi, a Genova e Chiavari”.

Per Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia penitenziaria, “il problema dell’ingresso della droga in carcere è questione ormai sempre più frequente, a causa dei tanti tossicodipendenti ristretti nelle strutture italiane.

Dai dati in nostro possesso sappiamo che quasi il 30% delle persone, italiane e straniere, detenute in Italia, ossia uno su tre, ha problemi di droga.

Per chiarezza va ricordato che le persone tossicodipendenti o alcoldipendenti all’interno delle carceri sono presenti per aver commesso vari tipi di reati e non per la condizione di tossicodipendenza.

La loro presenza comporta da sempre notevoli problemi sia per la gestione di queste persone all’interno di un ambiente di per sé così problematico, sia per la complessità che la cura di tale stato di malattia comporta.

Non vi è dunque dubbio che chi è affetto da tale condizione patologica debba e possa trovare opportune cure al di fuori del carcere e che esistano da tempo dispositivi di legge che permettono di poter realizzare tale intervento.

Questa potrebbe essere la strada da seguire per togliere dal carcere i tossicodipendenti e limitare sempre di più l’ingresso di sostanze stupefacenti, unito ovviamente a tutte le attività di prevenzione, come l’utilizzo delle unità cinofile che sono anch’esse fondamentali nel contrasto dei tentativi illeciti e fraudolenti di ingresso e smercio di droghe in carcere”.

I sindacalisti del SAPPE hanno poi ricordato che introdurre o possedere illegalmente un telefono cellulare in carcere costituisce reato, punito da 1 a 4 anni di reclusione.

“L’introduzione del reato nel nostro Codice penale, purtroppo, non ha sortito gli effetti sperati. L’unico deterrente possibile rimane la schermatura degli istituti per rendere inutilizzabili i telefoni. La situazione è ormai fuori controllo. È necessario un intervento urgente per dotare le carceri di sistemi di schermatura efficienti e per contrastare efficacemente l’introduzione di telefoni cellulari all’interno degli istituti penitenziari”.

E si appellano al Dap: “Domandiamo ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a che punto è proprio il progetto di schermatura degli istituti, proprio per neutralizzare l’utilizzo dei telefoni cellulari e scoraggiarne l’introduzione, garantendo così quella prevenzione che, in casi di questo tipo, può risultare più efficace della repressione”.