Lo scandalo delle chat di alcuni magistrati contro Matteo Salvini, dove è emerso che le toghe dovevano “attaccare” il leader della Lega “anche se ha ragione”, lascia perplessi e suscita preoccupazione sulla politicizzazione di una parte della magistratura italiana.
La giustizia è davvero giusta?
Per il professore genovese Paolo Becchi è ora di cambiare sul serio: “C’è un modo per estirpare il cancro della magistratura politicizzata: riformare il Csm. Fermare lo strapotere della magistratura si può”.
Ecco il testo dell’interessante analisi del prof. Paolo Becchi e dell’avvocato Giuseppe Palma, pubblicato l’altro giorno sul blog di Becchi e sul quotidiano Libero.
“Lontano è il tempo in cui Montesquieu teorizzava la separazione dei poteri: quello legislativo al parlamento, quello esecutivo al governo e quello giudiziario alla magistratura. L’uno indipendente dall’altro, ma nessuno che prevarichi l’altro, con l’obbligo della magistratura di applicare le leggi.
Pilastri che hanno determinato gli assetti istituzionali liberal-democratici di tutti gli Stati del mondo occidentale.
Peccato che questi equilibri, quantomeno in Italia, siano venuti meno a partire dal 1992.
Il tintinnio delle manette del pool di Milano portò alla sbarra tutti i partiti dell’allora maggioranza parlamentare (il pentapartito Dc, Psi, Psdi, Pli, Pri), spianando la strada alla ‘gioiosa macchina da guerra’ del centrosinistra di Occhetto (ex Pci ed ex democristiani di sinistra, l’attuale Pd).
Ad intralciare l’ascesa al potere dei ‘comunisti’ ci pensò Berlusconi, che in vent’anni ha dovuto subire un attacco della magistratura senza pari nella storia repubblicana, sfociato con una condanna a quattro anni di reclusione, in parte condonata dall’indulto e scontata con un anno ai servizi sociali.
Oggi al posto di Berlusconi c’è Salvini, ma il copione è sempre lo stesso: la magistratura che si sostituisce alla politica svolgendo essa stessa politica attiva, stralciando di fatto il principio della separazione dei poteri. Il leader della Lega sarà processato a breve per il caso Gregoretti.
L’accusa è quella di sequestro di persona per aver impedito nel luglio 2019, quando era ministro dell’interno, lo sbarco per qualche ora di 116 migranti, in attesa che la Ue battesse un colpo.
Al di là dell’assurdità di un’accusa di questo tipo, ciò che è emerso in questi giorni è una cordata della magistratura contro l’ex vicepremier leghista.
Cordata apparsa in modo inequivocabile da alcune chat su whatsapp.
Su tutte uno scambio di messaggi tra l’ex capo dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, già membro dimissionario del Csm, e l’ex procuratore di Perugia (attuale procuratore capo di Viterbo) Paolo Auriemma.
Auriemma scriveva che ‘non vedo dove il ministro dell’Interno stia sbagliando nell’impedire di entrare in Italia a chi cerca di farlo illegittimamente e non capisco cosa c’entri la procura di Agrigento’ e Palamara gli rispondeva ‘hai ragione, ma adesso dobbiamo attaccarlo‘.
Insomma, una lotta politica della magistratura nei confronti di Salvini che trae origine, oltre che nel ruolo ideologico che la magistratura esercita sin dal 1992, nella guerra tra bande all’interno del Consiglio superiore della magistratura (Csm): da un lato la corrente maggioritaria che fa capo a Piercamillo D’Avigo, ‘Autonomia e Indipendenza’, dall’altro ‘Magistratura Indipendente’. In mezzo ‘Magistratura Democratica’, la potentissima corrente di sinistra, la più politicizzata. Non è da meno ‘Unicost’, la corrente che faceva capo a Palamara, costola di ‘Magistratura Democratica’.
Da questa lotta intestina emerge il dato di fatto saliente: il Csm non è più un organo di autogoverno della magistratura, nato per garantire l’autonomia e l’indipendenza dei giudici, ma una tana di lupi pronti a sbranare il leader politico che non si conforma agli interessi della corporazione dei giudici e a certe logiche di potere.
C’è sempre un nemico da colpire attraverso processi politici che con la giustizia non hanno nulla a che vedere. Ma finché il Csm funzionerà come ha funzionato sinora, ci sarà sempre un uso politico della giustizia.
Ci chiediamo quindi se non sarebbe il caso di riformare il Csm anzitutto attraverso una modifica del sistema d’elezione dei suoi membri, sia laici che togati.
Oggi quelli togati (che compongono per i 2/3 il Csm) sono eletti dai magistrati di carriera attraverso un collegio unico nazionale che vede candidati i magistrati in apposite liste (veri e propri partiti), mentre quelli laici (1/3 dei componenti) dal Parlamento riunito in seduta comune, quindi su spartizione dei partiti.
Un sistema che nei decenni ha prodotto la politicizzazione della magistratura attraverso la creazione delle correnti all’interno della magistratura.
Una soluzione praticabile potrebbe essere al posto dell’elezione quella del sorteggio, sia per i membri togati che per quelli laici.
I magistrati togati da un lato e gli avvocati o professori universitari in materie giuridiche dall’altro che posseggano ad esempio determinati requisiti di anzianità o di merito, potrebbero essere scelti per sorteggio nazionale, nel rispetto di tutte le garanzie formali, in modo da evitare la formazione di correnti politiche all’interno del Csm.
Sarebbe un modo efficace per ridare alla magistratura il senso perduto dell’autonomia e dell’indipendenza.
In fin dei conti, come usava ripetere Giovanni Falcone ‘confondere indipendenza con arbitrio, è questo il problema: chi è indipendente deve sempre rispondere’.
Senza più correnti, sarebbe molto più difficile per i giudici continuare a fare politica come stanno da anni facendo”.