“La sentenza del Consiglio di Stato per quanto riguarda le concessioni balneari, prorogate solo fino a dicembre 2023, apre finalmente a nuove considerazioni anche alla luce del diritto dell’Unione Europea.
Tanto è evidente che, come accade sempre nel nostro Paese, i giudici intervengono quando la politica non è più in grado di assumere decisioni, o ancora peggio, si pone in contrasto con norme dell’Unione Europea che sono sovraordinate.
Ciò che colpisce, è la mancanza nel dibattito pubblico, di una visione comparativa che tenga conto di quello che succede in altri Paesi europei, quali Francia, Spagna, Grecia, dove è assicurata una percentuale dell’80% di spiagge libere, a fronte di una situazione nazionale in cui in molte realtà locali la quota di arenile balneabile disponibile per la libera fruizione del pubblico non raggiunge neppure il 50%”.
Lo ha dichiarato oggi il capogruppo regionale Gianni Pastorino (Linea condivisa).
“Per quanto riguarda la Liguria – ha aggiunto Pastorino – la normativa di riferimento (cioè la L.r. 28 aprile 1999, n. 13 Disciplina delle funzioni in materia di difesa della costa, ripascimento degli arenili, protezione e osservazione dell’ambiente marino e costiero, demanio marittimo e porti) prevedeva teoricamente un limite percentuale minimo di aree balneabili da riservare alla libera fruizione.
Peccato che le numerose e cavillose eccezioni introdotte dallo stesso legislatore regionale, per tenere conto di interessi consolidati, nonché di vecchi e di nuovi appetiti, abbiano di fatto vanificato gran parte delle tutele previste.
Oggi la nostra regione, con circa il 70% dell’arenile balneabile sottratto alla libera fruizione, è tra quelle che presentano percentualmente la quota più bassa di spiagge libere, come evidenziato nel ‘Rapporto spiagge 2021’ di Legambiente.
Bisognerebbe cogliere l’occasione della sentenza per rimettere finalmente in discussione gli assetti esistenti e superare rendite di posizione, non più difendibili.
Rispetto allo stabilimento balneare tradizionale sarebbe molto più sensato, come fanno in altri paesi, favorire la forma della ‘spiaggia libera attrezzata’.
Inoltre, i maggiori proventi derivanti dall’assegnazione delle concessioni tramite procedura di evidenza pubblica, nonché dall’esazione di canoni demaniali più in linea con gli effettivi valori di mercato del bene oggetto di concessione, consentirebbero alle amministrazioni comunali, che già possono valersi dell’imposta di soggiorno, di sostenere con un maggiore volume di risorse gli investimenti necessari per il ripascimento, la manutenzione e la salvaguardia degli arenili.
Per rendersi conto di quanto la nostra costa sia fragile e necessiti di ingenti investimenti per essere manutenuta, si pensi al caso clamoroso del crollo del cimitero di Camogli. In questo contesto di relativa scarsità di risorse pubbliche ben si comprende quanto sia vitale per le amministrazioni comunali trarre il massimo reddito da un cespite tanto prezioso e appetibile, quale quello delle concessioni balneari.
Una quota degli stessi introiti potrebbe essere ovviamente destinata anche alla gestione delle spiagge libere, creando nuova occupazione.
A differenza di quanto sostiene l’assessore regionale Marco Scajola, un’altra forma di gestione del demanio marittimo è possibile, ma per questo è necessaria una nuova regolamentazione della materia, che sappia coniugare gli interessi dei lavoratori del settore, che comunque troverebbero occupazione anche nel quadro di nuovi assetti gestionali, con il diritto troppo spesso misconosciuto del cittadino comune ad accedere liberamente alla fruizione di un bene pubblico che, fino a prova contraria, gli appartiene ancora e non può essere oggetto di appropriazione definitiva e irreversibile da parte di chicchessia.
Pensiamo piuttosto a come tutelare, quello sì, migliaia di lavoratrici e lavoratori del settore, pensando a progetti di reinvestimento delle loro potenzialità, ma uscendo dall’imbarazzo che tutto il litorale regionale sia occupato da stabilimenti balneari”.