La ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano Giovanna Pedretti è stata trovata morta domenica sera (14 gennaio) nel fiume Lambro dopo il caso mediatico scoppiato sulla recensione del suo locale sui social network. È probabile che si tratti di suicidio.
La triste vicenda è nota. Prima esaltata per la sua ferma presa di posizione contro un cliente che per iscritto si sarebbe lamentato perché nel suo locale ci sarebbero stati omosessuali e disabili.
Poi messa alla gogna perché lei stessa, a quanto sembrerebbe, sarebbe l’autrice di quel messaggio a cui avrebbe poi risposto (possiamo presumere) per fare un po’ di pubblicità a costo zero a un locale “politicamente corretto”.
Qualcosa però non ha funzionato e la povera Giovanna è finita nel tritacarne mediatico.
Da quel momento, la donna non ha avuto più pace e il peso deve essere stato troppo grande da sopportare, tanto da decidere di farla finita. La presunta pubblicità a costo zero le sarebbe costata la vita. Possiamo ora solo pregare e sperare nella misericordia di Dio (per chi ci crede).
Due brevissime considerazioni. Una filosofica e una giuridica.
Prima considerazione. Giovanna è stata vittima di quel “politicamente corretto” che l’ha spinta, a quanto pare, a fare tutta da sola: il cliente razzista e la ristoratrice antirazzista. Se ha fatto questo ha ovviamente sbagliato, ma meritava per questo di morire? Meritava di essere trattata come è stata trattata o non sarebbe stato più intelligente interrogarsi sulle assurdità a cui può spingersi “il politicamente corretto”?
Seconda considerazione. La magistratura non può non tener conto del fatto che nel nostro codice penale c’è ancora l’articolo 580 che riguarda l’istigazione al suicidio. E se l’autopsia dovesse confermare il suicidio, questa ipotesi di reato andrebbe indagata.
Una persona debole ha deciso di farla finita per il modo in cui è stata trattata. Prof. Paolo Becchi