La Procura della Repubblica di Genova ha aperto un fascicolo per rivelazione di segreto d’ufficio nell’ambito della maxi inchiesta sul presunto comitato d’affari e corruzione che, martedì scorso, ha portato all’arresto ai domiciliari del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti.
Il fascicolo, a carico di ignoti, è stato iscritto alla luce di quanto emerso dalle intercettazioni ambientali.
Secondo quanto emerso, il 30 settembre 2020 i fratelli siciliani Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa, iscritti a Forza Italia in Lombardia e da ieri sospesi dal partito, vengono a Genova per incontrarsi con alcune persone della comunità riesina.
A quell’incontro si sarebbe avvicinato un uomo con la felpa e il cappellino che per gli inquirenti “viene riconosciuto in Umberto Lo Grasso (consigliere totiano in Comune di Genova). Che dice a Italo Testa: ‘Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono …. Stanno indagando’. Per tutta risposta Italo Maurizio Testa afferma: “si lo so, non ti preoccupare …. L’ho stutato (spento in dialetto siciliano, ndr)”.
Questa condotta, ritiene la giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni, “appare in tal modo integrare il delitto di favoreggiamento personale, avendo il predetto – avvisando i fratelli Testa a non parlare al telefono essendo in corso indagini (‘stanno indagando’) – fornito un aiuto in favore dei predetti ad eludere le investigazioni a loro carico”.
Ma chi avrebbe avvisato Lo Grasso? Un’ipotesi, ragionano gli inquirenti, è che vi sia appunto una talpa, visto che l’attuale consigliere regionale Stefano Anzalone, totiano anche lui e poi confluito nel gruppo Misto, indagato nell’inchiesta, è un ex poliziotto che ha dunque agganci tra le Forze dell’ordine.
L’altra ipotesi è che si possa trattare di un’eventuale millanteria dello stesso Anzalone, che dopo le elezioni avrebbe voluto togliersi di torno i fratelli Testa e non onorare le presunte promesse fatte in cambio dei voti dei riesini.