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Tar: Lara Trucco torni in cattedra. Università di Genova condannata

Professoressa Lara Trucco

Altra indagine dei pm genovesi, altro colpo di scena. La professoressa Lara Trucco torna a insegnare all’Università di Genova, che l’aveva esclusa dalla sua attività lavorativa per via dell’inchiesta “dimenticando” che chiunque è innocente fino a sentenza definitiva, come previsto dal nostro ordinamento giudiziario.

Non sarà più la coordinatrice dei corsi, come lei stessa ha riferito, ma salirà di nuovo in cattedra e riprenderà le sue lezioni.

Lo hanno deciso la scorsa settimana i giudici del Tar della Liguria con l’ordinanza 512/24 pubblicata sabato, che ha accolto il ricorso della professoressa e condannato l’Ateneo genovese anche al pagamento di tutti gli stipendi precedenti sospesi dal momento in cui l’indagata avrebbe potuto tornare a svolgere il proprio compito.

La professoressa sanremese nel 2022, all’epoca prorettrice, era stata indagata a seguito di un’inchiesta della Procura di Genova per presunti concorsi condizionati all’interno dell’Università per l’assegnazione di ruoli di professore e ricercatore.

Lara Trucco era stata messa perfino gli arresti domiciliari. Poi la misura interdittiva era stata via via affievolita con l’obbligo di dimora e quindi con la revoca definitiva.

Per l’indagata è stato chiesto il rinvio a giudizio, ma come tutti coloro che non sono stati condannati in via definitiva, la professoressa è innocente e può continuare a svolgere la sua professione.

Essendosi dimessa dall’incarico di prorettrice e dall’incarico di coordinamento dei corsi, Lara Trucco aveva quindi e ha tutto il diritto di tornare a insegnare (le era stata sospesa ogni retribuzione, salvo quella del reddito minimo alimentare).

L’Università di Genova, seguendo il teorema accusatorio dei pm, aveva però respinto la sua richiesta di potere tornare al lavoro.

I giudici del Tar hanno cassato questo “veto” dell’Ateneo con una doppia motivazione.

“E’ pur vero che le misure cautelari non sono venute meno per un miglioramento del quadro accusatorio che resta immutato, però il motivo di ricorso in esame è fondato nella parte in cui deduce l’eccesso di potere ravvisabile nella sproporzione che connota l’estensione degli effetti del provvedimento stesso rispetto agli addebiti mossi all’odierna ricorrente in sede penale”.

Questo perché le contestazioni riguardano fatti specifici che la professoressa, secondo i giudici, non potrebbe più commettere.

“I reati contestati all’odierna ricorrente riguardano esclusivamente le procedure di selezione di alcune figure della carriera universitaria. Ne consegue che non si ravvisa (né è stato ravvisato dall’Università, posto il silenzio sul punto dei provvedimenti che, a vario titolo, hanno disposto o confermato la sospensione cautelare dal servizio) alcun pericolo (specie alla luce del tempo trascorso dai fatti) nella ripresa dell’attività didattica e di ricerca, ad esclusione di tutte (e sole) le attività che a qualsiasi titolo riguardino la selezione del personale della carriera universitaria o il conferimento di borse di studio o assegni di ricerca”.

Curioso anche il passaggio in cui il Tar toglie all’Università l’alibi di voler salvaguardare, con la sospensione “l’immagine e il prestigio dell’Università” ritenuto un “riferimento peraltro generico”.

I giudici infatti fanno notare che se avesse pensato a questo, l’Ateneo non avrebbe dovuto, come invece ha fatto, “pubblicare su un sito web che utilizza il proprio dominio istituzionale la notizia (recante la data del 24 gennaio 2024 e tuttora visibile) della partecipazione dell’odierna ricorrente, nell’ambito della ‘squadra dei dipendenti universitari’, ai campionati nazionali universitari invernali (inclusi l’indicazione del premio conseguito e la fotografia dell’odierna ricorrente)”.

L’Università si vanta della propria “prof. campionessa”, ma poi se ne vergogna soltanto perché indagata?

Anche per questo i giudici del Tar hanno “condannato l’Università degli studi di Genova a reintegrare in servizio la ricorrente e a corrispondere alla stessa la retribuzione dovuta a far data dall’adozione del provvedimento impugnato. E ha condannato l’Università degli studi di Genova alla rifusione, in favore della ricorrente, delle spese di lite, che liquida in euro 5.000”.