Il mondo del trading è ricco di novità e di opportunità e per questo attira ogni anno sempre più nuovi utenti. Come tutti ormai sappiamo il trading è arrivato in Italia nel 1999, quando la CONSOB emana il primo regolamento di attuazione del Testo Unico dei mercati finanziari, grazie a questo emendamento i mercati finanziari vennero sanciti da regole. Il trading online vede a quel punto la sua espansione, infatti con il cambio del secolo si vide un grande cambiamento e diffusione del trading, ma facciamo un passo indietro. Correva l’anno 1993 quando la Borsa italiana decise di allargare le transazioni alle Sim negoziatrici ed accettarne la connessione.
Passarono due anni e si vide un altro cambiamento, nel 1995 nacque Directa Sim, ovvero il primo operatore in assoluto ad offrire una piattaforma per contrattare online, eravamo agli albori del trading online, ma come abbiamo già anticipato si è dovuto aspettare il 1999 per avere il trading online regolamentato.
Nel 2000 si ebbe la vera e propria espansione, sia per l’ampliamento della rete Internet sia perché anche i mercati e le borse investirono in Internet, comprendendo che sarebbe diventato il futuro. Dal 2000 sino ad oggi gli utenti che si sono avvicinati al trading online sono moltissimi, il trading è cresciuto senza sosta.
Oggi fare trading online è diventata un’attività molto comune e come possiamo vedere con questo approfondimento su meteofinanza.com gli utenti si avvicinano a questo mondo per capire anche come funziona dal punto di vista fiscale.
La tasse sul trading
Le tasse sull’attività di trading sono rappresentate da tutte quelle imposte che gravano sul trading online, ovvero sulle transazioni finanziarie di acquisto e vendita di strumenti finanziari tramite piattaforme o programmi online. Le tasse sul trading, infatti, vengono ad essere applicate sulla differenza positiva tra quanto investito inizialmente dal trader rispetto a quanto guadagnato. Con il secondo valore che, ovviamente, risulta maggiore del primo. Tale differenza positiva prende il nome di capital gain, guadagno in conto capitale o plusvalenza finanziaria. Tale valore costituisce la base imponibile su cui calcolare le tasse sul trading.
La normativa mette a disposizione dei trader che vogliono fare trading online due regimi fiscali grazie ai quali pagare le tasse sui guadagni: il regime amministrativo e quello dichiarativo. Nel primo il trader calcola, dichiara e versa autonomamente le imposte attraverso la dichiarazione Modello Redditi Persone Fisiche.
Nella dichiarazione dei redditi, le plusvalenze o capital gain su cui pagare le tasse sul trading devono essere dichiarate nel quadro RT rigo 41, alla voce “altri redditi diversi di natura finanziaria”.
L’inquadramento fiscale di questa particolare tipologia di reddito è quindi quello dei redditi diversi di cui agli articoli 67 e seguenti del TUIR. L’investitore che opta per il suddetto regime subirà la tassazione solo in seguito alla presentazione della domanda.
Questo comporta un primo vantaggio notevole derivante dalla posticipazione temporale del versamento delle imposte, laddove con il regime amministrato (come vedremo in seguito) il versamento avviene su base giornaliera, privando il trader di una parte della liquidità che potrebbe essere altrimenti investita.
Il regime dichiarativo permette inoltre di sommare e di compensare tra di loro tutte le plusvalenze e le minusvalenze generate durante l’anno, anche tra quelle di più conti. Nel regime amministrato invece le minusvalenze realizzate possono essere compensate soltanto con plusvalenze future ed esclusivamente all’interno dello stesso conto.
Con il regime amministrativo, invece, le tasse sono da applicare e sulla plusvalenza o capital gain realizzata – vengono dichiarate e versate direttamente dall’intermediario finanziario/broker attraverso l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo di imposta definitiva. Il regime amministrato presenta il vantaggio di mantenere l’anonimato grazie all’esclusione del monitoraggio fiscale (al contrario di quanto avviene col regime dichiarativo). Ma soprattutto esenta l’investitore dal calcolo, compilazione e dichiarazione degli obblighi fiscali, in quanto l’intermediario si prende carico di tutto ciò.
La pressione fiscale sul mondo del trading colloca l’Italia in una posizione intermedia grazie alla sua aliquota flat del 26% anche sui bond societari e l’agevolazione sui Titoli di Stato. Nel resto del mondo, però, diversi Stati se la passano molto meglio. Quali sono i paesi ideali dove vivere per gli investitori? I trader guardano in particolare a nazioni come la Svizzera, gli Emirati Arabi e Malta. In questi paesi le imposte sul trading online, e in particolare sui capital gain (le plusvalenze da investimento) sono molto più vantaggiose, spesso anche pari a zero.
Tornando al nostro Paese sono comunque diversi i fattori da considerare. Nel corso degli anni le aliquote sulle rendite finanziarie hanno subito degli adeguamenti costanti (sempre al rialzo ovviamente!) fino a stabilizzarsi nel 2014 al 26% per tutti gli strumenti finanziari, ad eccezione dei Titoli di Stato che sono tassati al 12,50%. Queste aliquote si riferiscono alle partecipazioni non qualificate. A partire dal 2018 anche alle partecipazioni qualificate, le quali seguivano prima un trattamento fiscale differente, si applicano le stesse aliquote. Ad ogni modo, essendo le partecipazioni qualificate poco pertinenti in un’ottica di trading online e piccoli investitori, non verranno approfondite in questa recensione.