La sera dell’11 gennaio un Teatro Duse stracolmo ha applaudito la prima rappresentazione di una significativa opera pirandelliana Così è (se vi pare), per la regia di Luca De Fusco e l’ interpretazione di Eros Pagni e di un ben scelto cast.
Uno dei testi cardine su cui ruotano i grande temi pirandelliani, tra cui l’inconoscibilità della realtà. Autore non facile da comprendere nell’immediato, sia nella novellistica che nel teatro, Pirandello pare sollecitare alla riflessione lo spettatore introspettivo, osservatore staccato di un mondo provincialborghese (da cui egli stesso proviene), e tuttavia tollerante, per necessità di sopravvivenza, della liturgia dell’apparenza e di ciò che “pensa la gente”.
Scampati ad un terremoto, arrivano e si stabiliscono In un piccolo centro di provincia un impiegato prefettizio, il sig. Ponza, sua moglie e, in una abitazione vicina, la suocera signora Froia.
Il terzetto fa vita riservata, senza mostrare una particolare cordialità verso i concittadini che, per cortesia e curiosità, vorrebbero dar loro il benvenuto.
Tra questi i componenti della famiglia del consigliere Agazzi, superiore gerarchico di Ponza, che fremono dalla curiosità, soprattutto in base alla circostanza che, mentre l’uomo fa spesso visita alla suocera, nessuno ha mai visto la moglie, tanto da metterne in dubbio l’esistenza.
Invano il buon senso e l’ironia di Laudisi, cognato di Agazzi e personaggio simbolo del dramma, tenta di riportare il parentado a visioni più concrete.
Il piccolo clan cercherà in più, senza trovarle, conferme tra gli atti del comune d’origine dei nuovi arrivati.
Improvvisamente si presenta alla porta della casa dei parenti riuniti la suocera, signora Frola che, davanti ad un simbolico microfono ( non raccontarsi è come non esistere, il privato “politico” delle piccole città?), tenta di dare una giustificazione al comportamento del genero, che terrebbe rinchiusa la figlia per una sorta di atteggiamento protettivo.
Ma subito dopo si presenta l’uomo, il sig. Ponza, dichiarando che la prima moglie sarebbe morta, che l’attuale moglie è la sua seconda consorte, tenuta nascosta per una sorta di riguardo alla suocera che, impazzita per il dolore, continua a credere che la figlia sia viva.
E poco dopo la suocera si ripresenta con una verità diversa: la moglie, tornata a casa dopo un lungo periodo di degenza, sarebbe viva, il marito impazzito dal dolore si sarebbe rifiutato di riconoscerla e, per evitargli ulteriori traumi, sarebbe stato simulato un secondo matrimonio con la stessa donna. Ma qual è la verità, anzi, qual è la realtà?
Nel testo in esame si presentano, oltre alla denuncia della beffa della vita e della sua presunta realtà, tutti i riferimenti del pensiero di Pirandello, primo fra tutti il rispetto per il dolore umano che non ha un senso (come per il cristiano) ma rileva e fa compassione per la sua ineluttabilità nonchè per la sua inutilità: forse per questo l’umanità sfinita del primo dopoguerra si identificò nell’opera sua, sentendo lo sgomento e le cadute spirituali che raccontava.
Secondariamente: i comportamenti umani sono influenzati, che lo si voglia riconoscere o meno, dalle pressioni e dai costumi, dalle fantasie indotte dell’ambiente che ci circonda.
E ancora, come Benedetto Croce ebbe a definire questo testo, rileva il “dramma dello stato civile”: non è concessa altra verità se non quella legale che risulta dalla convenzione di certi pezzi di carta scritti; se questi mancano ognuno può fabbricarsi la realtà che vuole.
Uno spettacolo piacevole e scorrevole, con una suspense mantenuta fino all’ultimo istante, un Eros Pagni all’altezza di se stesso, contornato da un cast del tutto apprezzabile, Anita Bartolucci (la Signora Frola) Giacinto Palmarini (il Signor Ponza) e altri otto attori.
Il testo pirandelliano resta al Teatro Duse fino a domenica 15 gennaio. ELISA PRATO