Paola Gassman e Ugo Pagliai in scena, in un lavoro di rivisitazione di Shakespeare di Babilonia Teatri
Una scena quasi mai illuminata introduce quello che vorrebbe essere il motivo conduttore di questa rivisitazione della tragedia shakespeariana, la morte. Non una morte lugubre e fine di ogni cosa ma la morte vista nella prospettiva del necessario passaggio per rendere eterno il sentimento che la fantasia dell’autore attribuì agli amanti veronesi.
E, infatti, il loro legame non conosce limiti di tempo, né nella storia del teatro né nel pensiero collettivo: Romeo e Giulietta sono sinonimi d’amore.
Le dolci note di Moon River (canzone resa famosa da una iconica Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”) rievocano il desiderio di ciò che non ha potuto essere ma che si spera che sia: sovrastano e quasi ridimensionano e riducono ad uno scherzo il sorprendente lancio di coltelli su Paola e Ugo d’inizio spettacolo. Una metafora per ricordare le lame che affliggono e minacciano la vita di coppia?
Moon river – dal film “Colazione da Tiffany”
Una coppia di fatto insieme da mezzo secolo, in teatro come nella vita, due artisti autentici che, in età decisamente diversa da quella dei giovanissimi innamorati, accettano ora di vestire i loro panni – una prima volta per entrambi – mentre, sollecitati da un sorridente e complice finto intervistatore, raccontano i loro primi passi nel mondo della recitazione ed episodi della vita in comune. Una sorta di piacevole puzzle, che comprende anche due brani moderni cantati in playback ammesso dagli stessi attori : “Che cosa c’è” per Paola, con la voce profonda di Ornella Vanoni, “Via Broletto” per Ugo, cantata dallo stesso attore, in tema di una giovane e grottesca morte. Di Pagliai sorprende la splendida voce, che è solo valore aggiunto all’inalterata bravura della sua coinvolgente recitazione, a dispetto dell’età, serenamente dichiarata in scena.
Di morte si parla, ma l’amore avvolge lo spettatore ed è presente ovunque, non solo quello di Romeo e Giulietta, ma anche quello solido e reciproco, che traspare dai gesti e dalle parole, pudicamente misurati, dei due attori.
La tragedia di Romeo e Giulietta è ripercorsa non nell’intero testo ma attraverso alcuni dei più famosi e toccanti brani. Perfetta la loro dizione, dote dei migliori attori di un tempo lontano, tanto più apprezzabile e calzante nel contesto in quanto credibile lessico di giovani di famiglie altolocate. Ed è nei testi che Paola e Ugo si confermano attori di razza, “leoni di scena, mostri sacri” difficilmente imitabili. Lei è insuperabile nelle sfaccettature psicologiche del celebre monologo di Giulietta, laddove la fanciulla offre il suo amore fresco e sincero, lontano dagli artifici delle donne “astute”, mostrando una insolita conoscenza, data la sua verde età, della psicologia femminile. Le fa eco Ugo porgendo l’ interpretazione di un Romeo palpitante, con un tratto romantico ma anche virile, privo di retorica e decisamente coinvolgente.
Dicevamo che di morte si parla, ma l’amore serpeggia ovunque. L’amore dei due attori ma anche l’amore colpo di fulmine dei due giovani, l’amore destino, impossibile da programmare e da prevedere, qualche volta da vivere, una storia che si conclude in quattro giorni. Scrive Louis Evely in tempi moderni che fidanzati che non hanno conosciuto la gioia incredibile di guardarsi a lungo negli occhi sono dei barbari dell’amore. Qualche commentatore ha notato che la parola “amore” nel testo di Shakespeare comparirebbe poco, la parola “odio” di più, mentre la parola “morte” sarebbe la più frequente.
Ma perchè morire? La morte è servita a pacificare l’odio tra le famiglie e a riunire i due innamorati, cosa che in vita non è avvenuta, perchè, nelle vere tragedie, le cose “succedono sempre nel momento sbagliato”.
Verso la fine un ennesimo e sorprendente colpo di scena, il matrimonio dei due attori celebrato da un finto frate, con due enormi anelli ai polsi che si saldano insieme come in un nuovo gioco del lanciatore di coltelli, ritornato in primo piano nel ruolo di di prestigiatore. E la chiusura in una atmosfera di romantica nonchalance sulle note di un altro immortale, Luigi Tenco.
“Bello, ma mi aspettavo più Shakespeare”, commenta una giovane Signora all’uscita. Il Nostro è comunque presente nei suoi pezzi migliori e il lavoro davvero apprezzabile per qualità e originalità.
Lo spettacolo resta al Teatro Ivo Chiesa fino al 22 maggio. Elisa Prato