Arresti, denunce o condanne inutili? Secondo i giudici della Corte costituzionale non può essere automaticamente respinta la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro in caso di condanna dello straniero che ha commesso reati considerati “di lieve entità” come, per le toghe buoniste, il piccolo spaccio di droga e la vendita di merce contraffatta.
La decisione sul rinnovo spetta al questore, che dovrà valutare la pericolosità sociale del richiedente straniero prima di negare il permesso.
E’ la sintesi di quanto ha stabilito la Consulta con una sentenza depositata ieri, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli del Testo unico sull’immigrazione, nella parte in cui ricomprendono, tra le ipotesi di condanna che impediscono automaticamente il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle per il reato di piccolo spaccio di sostanze stupefacenti (articolo 73, comma 5 del Testo unico Stupefacenti) e di vendita di merci contraffatte (art. 474, secondo comma, cp) senza prevedere che l’autorità competente (il questore) verifichi in concreto la pericolosità sociale del richiedente straniero.
Le questioni di costituzionalità erano state sollevate dal Consiglio di Stato nell’ambito di due giudizi originati da ricorsi presentati da cittadini stranieri, la cui richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro era stata respinta per effetto di condanne per i suddetti reati.
In linea con diverse pronunce, in cui erano state dichiarate illegittime disposizioni legislative che, in materia di immigrazione, introducevano automatismi tali da incidere, secondo i giudici, in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti concessi agli stranieri, e seguendo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la Consulta ha chiarito che il legislatore è “titolare di un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri sul territorio nazionale”, ma soltanto “entro il limite di un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diritti e degli interessi coinvolti”.
A fronte di quella che è stata considerata “minore entità” dei fatti di reato (in un caso l’illecita detenzione di 19 grammi e la cessione di 1,50 grammi di hashish, nell’altro la vendita di prodotti con segni falsi), l’automatismo del diniego e’ stato ritenuto dai giudici della Consulta “manifestamente irragionevole”.
Sia perchè “per le stesse condanne, nell’ambito della disciplina dell’emersione del lavoro irregolare, volta al medesimo scopo del rilascio del permesso di soggiorno, quest’ultimo non è automaticamente escluso, ma implica una valutazione in concreto della pericolosità dello straniero”.
E sia perchè “l’automatismo del diniego, riferito a stranieri già presenti regolarmente sul territorio nazionale (e che hanno cominciato un processo di integrazione sociale), è in contrasto con il principio di proporzionalità, come declinato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”, ai sensi dell’articolo 8 della Cedu.
Pertanto, ha osservato la Corte Costituzionale, “ben può verificarsi che la condanna, nei casi considerati, non sia tale da comportare un giudizio di pericolosità attuale riferito alla persona del reo, e ciò per varie ragioni: la lieve entità e le circostanze del fatto, il tempo ormai trascorso dalla sua commissione, il livello di integrazione sociale nel frattempo raggiunto.
Risulta, pertanto, necessario che, nell’esaminare la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno, l’autorità amministrativa apprezzi tali elementi, al fine di evitare che la sua valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall’articolo 8 della Cedu”.
I giudici della Consulta, con questa sentenza, hanno inoltre sottolineato che “l’interesse dello Stato alla sicurezza e all’ordine pubblico non subisce alcun pregiudizio dalla sola circostanza che l’autorità amministrativa competente operi, in presenza di una condanna per i reati di cui si tratta, un apprezzamento concreto della situazione personale dell’interessato, a sua volta soggetto a eventuale sindacato di legittimità del giudice”.