Con Trilogy in Two, lo spettacolo in corso al Teatro Duse, Andrea Liberovici, non a caso figlio di un compositore e di una cantante, arrivato alla regia dopo un esordio rock e lo studio della composizione musicale, si propone a tutto tondo come autore attuale, ovvero indagatore del proprio tempo, il ‘900.
Fatale l’incontro nel 1996 con Edoardo Sanguineti, con il quale fonda il “teatro del suono”, sperimentando ciò che arriva allo spettatore dall’incontro-elaborazione tra musica, testo, immagine e relative tecniche di espressione.
E’ lo stesso autore a spiegare che “il tema dell’opera è l’identità europea, anch’essa costituita da mille tasselli diversi; oltre Faust, ecco Florence Nightingale, la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna; e infine Venezia, città dove Liberovici è cresciuto, simbolo di una architettura unica dell’ascolto. L’egoismo del primo, l’attenzione verso l’altro della seconda, la bellezza oggettiva della città lagunare, che nella sua struttura fatta di acqua e mosaici, è testimone di ascolto e incontro, sono spunti per riflettere su ciò che chiamiamo Bellezza: la capitalista brama di possesso di Faust, l’umanesimo insito nella solidarietà di Nightingale, e Venezia che nasce dal fango su cui è costruita”.
La vicenda sembra non avere una linea di svolgimento: al centro della scena, buia forse non a caso, troneggia uno specchio di grandi dimensioni, nel quale la protagonista si osserva in un gioco di immagini che prendono vita intorno alla sua. Un percorso che appare senza fine e senza scopo, momenti caleidoscopici, performance, sprazzi di colore, interrogativi intimisti, un’opera mosaico che incastra tasselli di musica, recitazione, video che compongono un disegno complesso, che conduce in realtà ad una lenta trasformazione dell’essere e del pensare: la conoscenza di noi stessi passa attraverso la comunicazione con l’altro.
Helga Davis, sempre presente in scena con le sue belle doti vocali e il fisico androgino assai adatto a ruoli bisex, è affiancata dai valenti musicisti del gruppo Schallfeld Ensemble, che fanno emettere suoni originali di cristallina perfezione mediante strumenti conosciuti o meno, come strutture ad acqua, noci, bastoni. Suoni non allineati alla tradizione che stupiscono e magnetizzano l’attenzione, senza disdegnare il “ tacet”.
Per la verità lo spettacolo, nel suo complesso, può non risultare di immediata comprensione allo spettatore, avvezzo a moduli, anche musicali, più vicini al gusto mediterraneo o europeo.
Il testo è denso, a volte marcatamente poetico e scorre con una velocità che ne attenua la piena usufruibilità, considerato anche che viene recitato in inglese con sovratitoli in italiano.
Uno spettacolo che desta l’attenzione e induce a pensare (specie a posteriori…), con frequenti riferimenti a Venezia, città d’arte antica ma anche sede sedimentata e riconosciuta del messaggio artistico all’avanguardia della Biennale.
Il secondo tempo costituisce una sorpresa ulteriore: ancora una festa ad episodi di suoni e poesia dai titoli divertenti ed insoliti: il punto di vista dell’armadio, il primo amore dal punto di vista della goccia, la cultura secondo un verme, punti di vista di un capro espiatorio stanco di esserlo…
Lo spettacolo resta al Teatro Duse fino a mercoledi 30 ottobre.
Elisa Prato