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Ucciso e mutilato, presunto killer dà colpa a connazionale nordafricano

Omicidio Pontedecimo, il vigile presente si difende davanti al pm
Tribunale di Genova (foto d'archivio)

Si è contraddetto più volte e ha sempre cercato di dare la colpa all’altro connazionale.

E’ quanto emerso ieri durante l’interrogatorio di Kamel Abdelwahab, detto Tito, il 27enne nordafricano di 27 anni indagato e rinchiuso in cella per l’omicidio di Mahmoud Abdallah, l’egiziano di 19 anni trovato senza testa e mani la scorsa estate al largo di Santa Margherita Ligure.

Già subito dopo l’arresto il presunto killer aveva spiegato che il giovane era “caduto sul coltello” e che lui lo aveva ferito “una volta sola perché mi si è avventato contro. Mentre le altre ferite gliele ha procurate ‘Bob’ (il connazionale Abdelwahab Ahmed Gamal Kame anche lui in carcere per l’omicidio, ndr)”.

Tito aveva in sostanza affermato che Mahmoud avrebbe litigato con ‘Bob’ e li avrebbe minacciati di denunciarlo. Poi il giovane avrebbe afferrato un coltello. A quel punto, nel tentativo di disarmarlo, Tito si sarebbe tagliato una mano afferrando il coltello e la giovane vittima sarebbe caduta sulla lama procurandosi un taglio letale.

Una ricostruzione sempre negata da Bob e a cui i carabinieri, coordinati dal pm Daniela Pischetola, non credono.

Nei giorni scorsi sono state depositate le perizie sui telefonini dei due nordafricani.

Dall’analisi sarebbe emerso che Mohamed Alì, detto ‘Aly’, il titolare della barberia di via Merano a Genova Sestri Ponente e mai indagato, avrebbe detto a ‘Tito’ poche ore dopo il delitto di cancellare le chat.

Il titolare della barberia era andato in Egitto il 26 giugno, dopo che il 19 giugno i militari della Guardia di finanza avevano compiuto un’ispezione nella sua barberia, durante la quale la vittima del presunto omicidio aveva denunciato irregolarità nella gestione dei lavoratori.