Applausi entusiasti alla prima de “Il Barbiere di Siviglia” del 15 gennaio al Carlo Felice: l’attesa e l’eccitazione del pubblico per questo spettacolo storico all’italiana, allestito nel 1998 per il San Carlo di Napoli e riproposto in questi giorni a Genova, era palpabile fin dall’ingresso.
Il sagace osservatore d’arte teatrale Silvio d’Amico sostiene che quest’opera condivide con la musica l’intrigo, l’ironia, la psicologia, la tenerezza, la beffa, l’amore, la nostalgia: è la commedia simbolo del fiume di gioia con il quale Rossini, mentre si apriva l’Ottocento, aveva inondato Italia ed Europa con l’incanto e la malleabilità delle note, con le quali avrebbe potuto, come dichiarava, musicare anche la lista del bucato.
Lo stesso maestro Alvise Casellati, che ha magistralmente diretto l’orchestra, affascinando fin dall’inizio con il lungo preludio, ammette la sua predilezione per quest’opera definendola fondamentale, una Bibbia dell’opera buffa ma anche dell’opera tout court.
Si coglie in Rossini una rara e geniale astuzia musicale di coordinamento tra parole e musica (ogni nota corrisponde ad una sillaba), il canto è inframmezzato dal parlato, il libretto frizzante e comprensibile: quest’opera appaga qualunque tipo di ascoltatore, dall’intellettuale conoscitore all’inesperto di musica, dal giovane al meno giovane.
Un genio che è riuscito a farsi amare anche da cultori e compositori di altri generi.
Quasi impossibile non tornare con la memoria al Barbiere arguto e disincantato della scoppiettante edizione estiva all’Arena del mare del luglio 2018, resa indimenticabile, tra l’altro, dall’eclissi di luna.
La versione oggi proposta, sempre centrata sui temperamenti degli interpreti, è resa più spettacolare e al tempo stesso di tono mantecato, direi vagamente onirico, dalla scenografia “disegnata” di Lele Luzzati e dai costumi di Santuzza Calì.
Se c’è al mondo un soggetto conosciuto questo è, a colpo sicuro, il Barbiere: Figaro, Bartolo, Rosina, Almaviva, Basilio, sono archetipi così noti, così umani, così eterni da eguagliare le maschere della commedia antica.
L’opera non appare moderna, visto che sono presenti tutti gli elementi chiave dell’opera buffa settecentesca, equivoci, inganni, falsi messaggi: è l’utilizzazione ironica degli stessi che la rende godibile e del tutto attuale poiché il dramma, se c’è, resta in superficie ed è un pretesto per arrivare al felice finale da subito intuito dal pubblico.
Figaro, con il suo spirito frizzante e cangiante come il vestito di panno andaluso riassume in maniera totale le caratteristiche dei domestici astuti e di tutta quella razza di valletti bricconi che mettono la loro astuzia al servizio dei loro padroni, nonché della propria… tasca.
Se Figaro conduce, una Rosina, stavolta proposta con un temperamento più romantico e sognatore, un bocciolo dalle mille sfumature, non è di certo meno incisiva: la fanciulla si definisce e si presenta docile, adorabile e rispettosa, ma realista, poco suggestionabile e ben decisa a realizzare i propri sogni combattendo con l’astuzia e cento trappole coloro che li contrastano.
La giocosità e l’andamento frizzante dell’opera può far sottovalutare, ed è un peccato, la bella storia d’amore, resa in maniera pudica e delicata, tra giovani tosti nell’inseguire i propri ideali, specie nel momento tenerissimo in cui il creduto Lindoro rivela a Rosina di essere Almaviva, provocando l’ emozionato stupore di lei, sottolineato dalla lievità dei violini primi.
Denaro e calunnia, due temi attuali: Don Bartolo rappresenta la nota figura di anziano avido di giovinezza e di dote, mentre don Basilio, religioso ipocrita e voltagabbana, che ci offre un memorabile “trattatello” sulla calunnia e i suoi effetti lenti e sicuri, sembra rappresentare il bersaglio del credo anticlericale di Rossini.
Gioca favorevolmente l’immedesimazione degli artisti, scafati interpreti rossiniani e solisti di alto livello, nei personaggi, che ognuno ha costruito mediante una propria sintonia con il regista e con il direttore dell’orchestra: artisti tanto più validi in quanto la velocità della musica ed i crescendi rossiniani, molto impegnativi dal punto di vista vocale, non aiutano certo gli interpreti.
Ma l’impressione è che si divertano anche loro: ciò aggiunge una nota in più di calore e complicità con il pubblico.
Il Barbiere di Siviglia resta al Carlo Felice fino al 21 gennaio.
Elisa Prato