Se siete appassionati di moto, in generale vi fa sempre piacere incontrare chi condivida con voi lo stesso amore per le due ruote.
E’ infatti gradevole trovarsi con coetanei ed anche persone più giovani entusiasmarsi mentre parlano di motori, gas ed assetto, oppure di strade e di viaggi. Quando però questa gioia scintilla negli occhi di un quasi novantenne, ha davvero qualcosa di magico.
Sentire la stessa terminologia, vedere gli stessi gesti e soprattutto quell’amore nel cuore che, malgrado il tempo passato non tramonta mai.
E’ questa la sensazione che ho vissuto parlando con Luigi Gambaro, arzillo e brillante signore classe 1932 che ha passato gran parte della propria vita con un manubrio in mano e l’acceleratore aperto al limite.
Mi ha raccontato storie di un motociclismo che ormai non esiste più, di mezzi che sembrano oggi lontani anni luce dalle nostre moto moderne, eppure il fuoco della passione è quello di un ragazzino che è appena salito in sella.
Ci separano trent’anni di storia, dove i veicoli sono cambiati profondamente, dove la tecnologia oggi la fa da padrona in ogni singolo controllo, dove i materiali si sono evoluti in maniera esponenziale. Ieri invece mezzi semplici, sicurezza davvero risicata e responsabilità totale del pilota. Mondi differenti, estremamente lontani tra loro, eppure vicinissimi perché accomunati da un amore smisurato.
La sua storia a due ruote inizia in un’officina come garzone, dove si trova a scoprire i primi rudimenti della meccanica, che opera su di lui un grande fascino.
Visto il periodo, il giovane Luigi non può comperare una due ruote a motore e si accontenta di un mezzo a propulsione umana, acquistando così la prima bicicletta a quattordici anni.
Qui, il ragazzino dimostra subito un grande talento: la pedalata libera diventa un trionfo in varie gare locali e fuori regione. Gambaro partecipa alla selezione per gareggiare ai campionati nazionali ma una malattia lo costringe a rinuciare alla competizione. Ma la svolta è in realtà dietro l’angolo.
Siamo nel 1948, l’Italia vive tra la voglia di rinascita e la confusione della ricerca di una via da seguire, il ragazzo genovese inizia in quel periodo a lavorare come meccanico sulle Lambretta.
In breve tempo, come prima scalava i passi liguri, oggi scala la responsabilità nel lavoro e ben presto diventa capo-officina in via Vecchia dove si effettuava la manutenzione in particolare al noto scooter lombardo.
Vista la sua grande passione per i motori e la competizione, il titolare della dittagli propone di partecipare ad una gara in salita nella categoria “scooter”, proprio con una delle Lambretta dell’officina.
E’ il 1951 e Gambaro ottiene ottimi risultati nelle più note competizioni liguri, quali la Borgoratti – Bavari e la Pontedecimo – Giovi. Eppure, il pilota genovese non è contento, vorrebbe preparare meglio il proprio scooter per dominare ancora di più le classifiche.
Nel tempo libero si mette allora a modificare la sua Lambretta, alleggerendo parti della struttura e potenziando al massimo il motore. Nasce così la V1, un vero e proprio ordigno a due ruote con lo stesso nome delle note bombe tedesche della seconda guerra mondiale, che della Lambretta porta ormai solo il nome, ma risulta più agile e cattiva.
Oltre a questa ci sarà un’evoluzione della prima special: Gambaro crea la V2, che risulta ancora più performante. Le vittorie del pilota di Genova sono così significative che, un concessionario gli propone una moto per partecipare alle corse in salita in forma ufficiale: la Parilla gli offre un mezzo da competizione.
Luigi però chiede una condizione al concessionario, dicendogli: “…se va adagio io non corro…”. Poche parole che danno l’idea della filosofia del pilota, o velocità o nulla. Peccato che, nelle diverse competizioni in sella alla Parilla, nessuna delle due ruote sia mai arrivata alla fine.
Questo, non per colpa di Luigi ma perché problemi meccanici la fermano prima della bandiera a scacchi. “Mi ricordo la gara Mele – Turchino, la corsa lungo la Statale 456, dove partivamo a circa un minuto uno dall’altro”, racconta Gambaro con un sorriso e una luce negli occhi, “io parto a razzo e, a circa metà percorso supero il concorrente prima di me.
Avevo recuperato oltre un minuto sui pochi chilometri che ci separavano dalla vetta. Peccato che a duecento metri dall’arrivo il motore esploda letteralmente lasciandomi a piedi…”. C’è un senso di rammarico in lui mentre mi dice questo. Chissà, forse avrebbe potuto segnare il record stagionale, di categoria, assoluto… Invece la moto con il levriero si ammutolisce. Lui scende e spinge fino all’arrivo.
Luigi Gambaro correrà in moto fino agli anni Sessanta, partecipando a differenti competizioni quali il “Giro d’Italia” e varie gare nazionali con ottimi risultati, quando decide poi di convertire il concessionario da due a quattro ruote, per assecondare un mercato in trasformazione che, grazie al boom economico e la voglia di movimento, rende l’auto un oggetto del desiderio.
Il concessionario ufficiale Laverda e Benelli di Molassana di Gambaro e Mauri, lascia spazio ad un autosalone e il nostro appende il casco al chiodo.
Il tempo è passato, moltissimo è cambiato nel settore motociclistico, eppure la passione di questo anziano signore è fresca e viva come sempre.
“Allora era tutto diverso”, ci spiega, “non c’erano strumenti per la sicurezza, correvo senza guanti e con la tuta da lavoro. Dovevo adattare la miscela del motore due tempi alle condizioni meteo e mettere poca benzina per essere più leggero”.
E quasi la malinconia vela per un attimo i suoi occhi chiari, segno che quella scintilla non si spegnerà mai. Gli chiedo quale fosse il segreto per vincere le gare, lui mi risponde con una semplicità disarmante: “…per andare forte serve solo tenere il gas aperto sempre…”. E mi racconta di come la notte prima di addormentarsi, ripassava mentalmente le curve della gara che avrebbe affrontato.
“Ancora adesso posso descriverti ogni tratto di strada delle mie gare in salita”, continua sorridendo e con le mani mima il manubrio e la manopola del gas a destra e sembra accompagnare con il corpo l’inclinazione della moto. Forse siamo alla “curva del Perdono”, una delle più note della gara Doria – Creto, vinta da Gambaro più volte. E ancora oggi, quando la primavera avanza, Luigi non disdegna un giro in moto.
Starei ad ascoltarlo per ore, solo per sentire in lui la mia stessa passione, che ad ogni parola si accende come una scintilla di una candela che incendia la benzina nella camera di scoppio. Grazie della lezione, Luigi.
Roberto Polleri