Per tenere i fatti staccati dalle opinioni, pensiamo sia opportuno riportare le parole che Mark Zuckerberg, a.d. e Ceo di Facebook ha detto ieri 22 marzo, dopo qualche giorno di silenzio.
«Sono responsabile di quello che è successo». Con queste parole Zuckerberg esce dal suo silenzio e si assume le colpe dello scandalo dei dati personali raccolti su Facebook.
«Abbiamo fatto degli errori, c’è ancora molto da fare – dichiara sulla sua pagina personale del social media, poi continua dicendo – abbiamo la responsabilità di proteggere le vostre informazioni, abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati e se non riusciamo a farlo non meritiamo di essere al vostro servizio – scrive ancora Zuckerberg, spiegando che sta lavorando – per capire esattamente cosa è successo e assicurarsi che non accada mai più.
La buona notizia, ha aggiunto il numero uno di Fb, è che molte misure per prevenire tutto questo sono state già prese anni fa. Mentre questo specifico problema che coinvolge Cambridge Analytica non dovrebbe verificarsi più con le nuove app di oggi, questo non cambia ciò che è accaduto in passato. Impareremo da questa esperienza a rendere ancora più sicura la nostra piattaforma e a rendere la nostra comunità sicura per tutti da qui in avanti».
Dalle dichiarazioni del ceo di Facebook e da Sheryl Sandberg, direttore operativo del gruppo si può capire che sono colpevoli di quanto è accaduto e ammettono di non essere stati abbastanza attenti nel gestire il caso Cambridge Analytica. Organismo che ha abusato delle informazioni di oltre 50 milioni di utenti del social network. «Abbiamo trascorso gli ultimi giorni a lavorare per capire cosa è successo e per evitare che si verifichi di nuovo.» Con queste parole Zuckerberg e Sandberg, giustificano questi giorni di silenzi.
Però, sempre in questi giorni, negli Stati Uniti è partita la prima class action contro Facebook mentre aumentano le certezze che molte teste cadranno, tra cui l’uscita di scena di Alex Stamos responsabile per la sicurezza informatica. Molti analisti azzardano l’ipotesi di un clamoroso passo indietro dello stesso presidente ed amministratore delegato di Facebook, fino a pochi giorni fa considerato una sorta di “imperatore a vita”. A meno che non si scelga di sacrificare l’altro volto noto del gruppo, la direttrice generale Sheryl Sandberg.
Se la lucida mente di Nicolo Macchiavelli, il cancelliere fiorentino del ‘500, potesse leggere queste dichiarazioni metterebbe Zuckerberg e Sandberg tra i principi coraggiosi e forti perché il principato lo hanno costruito con forza, intelligenza, arguzia e coraggio, però noi oggi, dobbiamo tornare con i piedi per terra, leggere i giornali economici e finanziari, constatare quel che è successo sui listini delle Borse valori e quel che è successo nei portafogli degli investitori.
l crollo del titolo in Borsa, di questi ultimamente, ha mandato in fumo 36 miliardi di dollari di valore del gruppo, arrivando a perdere oltre il 7% tra il 20e 22 marzo l’8% del valore. Un tracollo che ha spinto giù anche le quotazioni degli altri social network, con Twitter e Snapchat in forte calo. Dalle pagine del New York Times si può leggere le certe dimissioni dimissioni, operative dal prossimo agosto, di Alex Stamos, responsabile della sicurezza delle informazioni dell’azienda di Zuckerberg.
Ma nelle ultime ore la società è tornata a difendersi e la direzione sostiene di essere stata ingannata sulla raccolta delle informazioni personali degli utenti. Questa una dichiarazione sembra essere riuscita a calmare i le variabili dei mercati dopo due giorni di passione a Wall Street, con un crollo del titolo senza precedenti: ben 50 i miliardi di dollari andati in fumo dall’inizio dello scandalo!
La perdita di fiducia e di immagine, sono un danno grave perché il popolo di Facebook si è sentito imbrogliato, con i propri dati utilizzati per fini politici, che si tratti del referendum sulla Brexit o dell’elezione di Donald Trump. Oggi c’è nel mirino la gestione della privacy troppo lassista da parte del gruppo dirigente, almeno fino al 2015. Su questo principiò perseverano i promotori della causa collettiva avanzata presso la Corte Distrettuale federale di San José, a due passi dalla Silicon Valley, e ora chiedono anche di essere risarciti dai danni.
In questa guerra tra colossi del web e dei social media ci sono i fondatori di WhatsApp. Brian Acton, divenuto miliardario vendendo la sua app proprio a Zuckerberg; Brian Acton, si è apertamente schierato con il movimento #deletefacebook, invitando i suoi follower su Twitter a cancellarsi dal social blu: “It’s time”, è tempo di farlo, ha scritto, raccogliendo in 11 ore 9 mila like, con il suo post condiviso oltre 4 mila volte in pochi giorni.
Staremo a vedere come Zuckerberg, riprendendo le redini del colosso economico e finanziario riporterà la nave sulla rotta giusta, d’altra parte sta all’inventore modificare e impostare le linee guida dell’azienda, d’ora in poi. ABov.